Il poco lusinghiero primato di femminicidi è della Lombardia, con 16 donne assassinate, seguita da Campania con 10, Piemonte con 9, Lazio Toscana e Veneto con 5, Liguria, Trentino ed Emilia Romagna con 4 vittime, Puglia, Abruzzo, Calabria Basilicata e Marche con 2 femminicidi per regione e Friuli e Sardegna con un omicidio. Nessun caso è stato registrato in Umbria, Valle d’Aosta e Molise.
Una commissione parlamentare d’inchiesta, presentata a fine 2017, ha evidenziato come quasi sette milioni di donne abbiano dichiarato di aver subito una violenza fisica o, peggio, uno stupro. Una su cinque ha riportato danni permanenti. “Il 20% dei femminicidi è stato preceduto da una misura cautelare che disponeva un divieto di avvicinamento – ricorda Puglisi – Misura che, di fatto, si è rivelata inefficace a causa dell’insufficiente potere dissuasivo di un provvedimento che, restando unicamente sulla carta stampata, non fornisce alcuna reale garanzia per le potenziali vittime e che potrebbe essere fortemente ridimensionato potenziando gli strumenti in uso alla magistratura come i braccialetti elettronici che, ancora oggi, funzionano a regime ridotto essendo ancora troppo pochi gli esemplari in uso alle autorità giudiziarie”. Oltre alle vittime in prima linea non vanno dimenticati i bambini, o ragazzi, che, in seguito al delitto, si sono ritrovati orfani di madre o, in caso di omicidio-suicidio, di entrambi i genitori. In Italia gli orfani del femminicidio sono oltre 2000. “Ai 67 ragazzi rimasti orfani nel 2017, se ne aggiungono 36 nei primi 11 mesi del 2018. La cosiddette “vittime secondarie” hanno un’età media compresa fra i 5 e i 14 anni e una prospettiva di vita molto difficile a cui far fronte: spesso si dimentica che questi ragazzi provano una sofferenza che non si può contenere se non con un lungo percorso di psicoterapia. Per questo – conclude Puglisi – lo Stato dovrebbe farsi carico dei relativi costi che, a oggi, ancora troppo spesso vengono addossati alle famiglie superstiti, se e quando esistono”.