L’insorgenza di nuove diagnosi di neoplasia della popolazione residente nell’immobile di via Archimede 16 è “attuale e continua”. “Se si può ritenere che il reato di disastro ambientale sia ormai estinto per prescrizione, è invece pacifico che la consumazione dei reati di morte come conseguenza di altro reato, lesioni e omicidio colposo, si realizza al momento dell’insorgenza della malattia, in caso di lesioni, o alla data della morte, per l’omicidio colposo”. Ne consegue che anche se sono trascorsi ormai trent’anni da quel disastro ambientale, i reati sono ancora perseguibili. Con queste motivazioni alcune delle famiglie delle vittime della palazzina di via Archimede 16, nel quartiere Japigia di Bari, si appongono alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura al termine dell’indagine sui decessi per neoplasie causate dai roghi della ex discarica comunale di via Caldarola.
Le famiglie, assistite dall’avvocato Michele Laforgia, chiedono quindi nuove indagini per “identificare tutti i responsabili della gestione della discarica e specificare i 21 casi che, per i consulenti del pm, sono sicura conseguenza dell’esposizione alle diossine”. Nella opposizione alla richiesta di archiviazione, i familiari evidenziano, inoltre, l’assenza del certificato di abitabilità del palazzo. Ancora oggi “il fabbricato – è scritto nella stessa consulenza della Procura – è sprovvisto del certificato di abitabilità che certifichi l’idoneità delle unità immobiliari adesso adibite ad uso abitativo, la sicurezza, l’igiene, salubrità, come previsto dalla normativa in materia”. “Sin dall’origine – evidenzia la difesa delle famiglie delle vittime – sembrano sussistere evidenti profili di responsabilità penalmente rilevanti a carico dei dirigenti dell’epoca dell’Istituto autonomo case popolari, ente proprietario dell’edificio oggetto di indagine, atteso che in assenza dell’abitabilità l’immobile non avrebbe dovuto essere occupato”.