Rapporti del pregiudicato barese Vito Martiradonna “con la polizia giudiziaria e i Servizi segreti per ottenere informazioni sulle indagini” sono stati documentati nell’inchiesta della Dda di Bari sulla gestione di scommesse illegali. Il pregiudicato, soprannominato “Vitin l’Enèl” e considerato il vero e unico “re delle scommesse di Bari”, “di sicuro – si legge nell’ordinanza del gip del Tribunale barese – conosce personale in forza alla Squadra Mobile della Polizia di Stato di Bari” e “di sicuro ha incontrato un funzionario dei servizi segreti con il quale ha affrontato il problema delle indagini”.
“Non è sicuro se poi ci sia stato un seguito – precisa il giudice – un effettivo interessamento alle indagini da parte dell’agente dei servizi, di certo gli incontri con ufficiali della Polizia giudiziaria della guardia di finanzia deporrebbero in tal senso”. Dalle indagini emerge che Martiradonna ha avuto un incontro, il 19 ottobre 2015, con un finanziere in forza ai Servizi di informazione e sicurezza dell’Aisi, incontro che è stato immortalato con intercettazioni ambientali e video compiute in un bar del centro di Bari. “Pacche sulle spalle e strette di mano sottendono a una conoscenza pregressa”, scrive il gip dell’incontro tra i due, seduti al tavolino sul marciapiede antistante il bar a parlare “sicuramente” delle indagini in corso a carico del boss.
“Finanzieri, è accanimento” dice Martiradonna, chiedendo al finanziere di prendere informazioni. Qualche settimana dopo l’agente dei servizi segreti si sarebbe fatto consegnare da un ufficiale del Gico della Gdf (sezione che aveva indagini in corso su Martiradonna), all’interno di una caserma del Corpo di Bari, “una busta contenente un foglio che prima visionava e poi reintroduceva nella stessa busta che riponeva nella tasca destra della sua giacca”. “L’incontro di un agente dei servizi segreti con un condannato per mafia – scrive il gip – è di per sé un fatto allarmante, ancora di più se questo ha avuto ad oggetto le indagini di Polizia sul suo conto”. “Non è sicuro se poi ci sia stato un seguito – precisa il giudice – un effettivo interessamento alle indizi da parte dell’agente dei servizi, di certo gli incontri con ufficiali della Polizia giudiziaria della Gdf deporrebbero in tal senso”.
Tali circostanze confermano – secondo l’accusa – la pericolosità del boss e la sua eventuale capacità di inquinamento probatorio. Il nome di Martiradonna è contenuto negli atti di alcune delle più importanti indagini sulla mafia barese. La sua prima condanna per associazione mafiosa risale alla fine degli anni Novanta, quando nel processo “Borgo Antico” ne fu accertato il ruolo di custode e riciclatore dei beni del boss della città vecchia Tonino Capriati. Nelle intercettazioni viene definito “la mente diabolica di Tonino” o “il notaio”, capace di un tenore di vita altissimo nonostante risulti ufficialmente un “pensionato sociale” che da anni non dichiara reddito. Negli anni avrebbe utilizzato la sua “fama mafiosa di cassiere del clan Capriati” per diffondere il “brand della famiglia Martiradonna”, forte anche sei suoi “inquietanti contatti – come li definisce il gip Giovanni Anglana – con esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi segreti per ottenere informazioni riservate”.