Otto associazioni femministe e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituite nel procedimento dinanzi alla Consulta, opponendosi alla questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge Merlin sulla prostituzione. La questione è stata sollevata nei mesi scorsi dagli avvocati di due imputati nel processo d’appello in corso a Bari sulle escort portate, tra il 2008 e il 2009, dall’imprenditore Gianpaolo Tarantini nelle residenze private dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
In particolare i giudici baresi, accogliendo l’istanza degli avvocati di Tarantini e di Massimiliano Verdoscia, Nicola Quaranta e Ascanio Amenduni, chiedono alla Consulta di valutare l’incostituzionalità della legge nella parte in cui punisce chi recluta ragazze che liberamente hanno scelto di prostituirsi. Per la Presidenza del Consiglio dei Ministri la questione di costituzionalità è inammissibile e, comunque, manifestamente infondata perché vi sarebbe un “errore di prospettiva quanto all’individuazione del bene giuridico protetto”. Le associazioni – Differenza Donna Onlus, Rete per la Parità, Donne in quota, Coordinamento italiani della Lobby Europea delle Donne/Lef-Italia, Salute Donna, UDI, Resistenza Femminista e IIROKO ONLUS – condividono l’opposizione presentata da Palazzo Chigi e si dichiarano, quindi, “contro l’idea che la legge Merlin offenda, anziché difendere, la libertà femminile”. “La prostituzione – spiegano le associazioni femministe – è un mercato totalmente dominato dagli uomini, in cui la libertà sessuale di ogni donna viene piegata alla domanda: l’acquirente di servizi sessuali svolge un ruolo chiave esercitando un vero e proprio potere” e sottolineano che “la normalizzazione della prostituzione può avere un impatto negativo sulla percezione che i giovani hanno della sessualità e dei rapporto tra donne e uomini”. La partita si giocherà sulla definizione di “escort” che, secondo le associazioni femministe, non è altro che “il volto moderno che maschera forme antiche di schiavitù, mirando a liberalizzare le attività dei poteri organizzati che trattano questa forma di prostituzione, quasi fosse in prodotto di lusso o una tangente”.
“L’esistenza di un’organizzazione stabile di natura affaristico-clientelare volta a ricorrere alla prostituzione delle donne da offrire al presidente del consiglio dei ministri o ad altri politici o imprenditori come controprestazione o mezzo di pagamento per l’affidamento di incarichi, appalti, favori, – dicono le femministe riferendosi al processo Tarantini – evidenzia una concezione della persona come mezzo e non già come fine, contraria ai valori della dignità personale sociale della Carta costituzionale e delle convenzioni internazionali di contrasto allo sfruttamento della prostituzione. Inoltre la promessa fatta a molte donne di poter accedere, all’esito delle loro prestazioni sessuali, al mondo dello spettacolo e dei media, esprime un ulteriore discriminazione”. I giudici baresi chiedono, invece, alla Corte Costituzionale di valutare questa nuova “peculiare forma di lavoro autonomo”, donne che “liberamente scelgono di dare piacere mediante la cessione della loro sessualità in cambio di apprezzabili vantaggi economici”, esattamente come sembra essere accaduto con le ragazze che frequentavano le cene di Berlusconi.