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Bari, violenza sulle donne e ruolo dei media nel trattare le notizie: al via corso per giornalisti

Pubblicato da: redazione | Mar, 7 Marzo 2023 - 20:17
stop violenza donne

Una strage silenziosa, una conta inarrestabile: dall’inizio dell’anno sono più di 50 i femminicidi in Italia. Una contabilità dell’orrore a cui anche la Puglia ogni anno offre il suo tragico tributo con 61 donne uccise solo a Bari, dal 2013 al 2016, in base al report della commissione parlamentare di inchiesta sulla violenza di genere e 1 donna pugliese su 10 vittima di violenza fisica, sessuale o psicologica, secondo i più recenti dati Istat.

Nonostante l’impegno di enti e istituzioni regionali e l’ottimo lavoro svolto dalla rete territoriale dei 35 centri antiviolenza e dall’Osservatorio regionale sulla violenza di genere, occorre una rivoluzione culturale per combattere pregiudizi e stereotipi, che sono alla base della violenza di genere in ogni comunità.

I media troppo spesso ne parlano in modo inappropriato, soffermandosi su dettagli morbosi o indulgendo al voyeurismo. Per aumentare la consapevolezza sul problema e far sì che gli specialisti dell’informazione trovino sempre le parole giuste per raccontarlo, riparte da Bari il progetto “Stop alla violenza di genere. Formare per fermare” promosso con il supporto non condizionato di Menarini. L’obiettivo del corso è fornire ai giornalisti fonti, dati, linguaggi, conoscenze medico scientifiche, psicologiche e normative per comprendere fino in fondo il fenomeno della violenza di genere grazie alla presenza di magistrati, criminologi, medici psicologi e giornalisti con un’esperienza specifica di settore.

Il capoluogo pugliese sarà il primo appuntamento della ripresa autunnale e rappresenta la quinta tappa del progetto che finora ha già coinvolto oltre 500 giornalisti nei corsi che si sono tenuti a Roma,

Napoli, Milano e Venezia. Altri incontri in tutta Italia sono in arrivo nei prossimi mesi.

“Quando una donna vittima di violenza arriva in pronto soccorso deve trovare professionisti preparati e attenti, luoghi adeguati non solo per curare le ferite ma per evitare che vengano inflitte nuove violenze anche attraverso atteggiamenti giudicanti – aggiunge Vittoria Doretti, direttora Uoc Promozione ed Etica della Salute e responsabile della rete regionale Codice Rosa della Regione Toscana – Questo vale non solo in Ospedale ma anche fuori, quando l’opinione pubblica diviene purtroppo spesso tribunale e mette sotto accusa la donna stessa, ciò che ha fatto o non fatto, detto o non detto sulla base di dettagli riferiti da alcuni media e maldestramente riportati anche con descrizioni violente e scabrose che nulla aggiungono ai fatti. Dobbiamo eliminare i pregiudizi, combattere gli stereotipi culturali alla base della violenza e trovare parole che rispettino le donne, non le colpevolizzino e non portino a giudizi affrettati, avallando i luoghi comuni più sbagliati”.

“La violenza contro le donne affonda le radici nei pregiudizi nei loro confronti che prosperano in ogni contesto culturale e sociale che attraversano pesantemente le notizie sui giornali ed entrano nelle aule di giustizia – afferma Paola Di Nicola, Giudice presso il Tribunale Penale di Roma, da anni impegnata nella lotta alla violenza contro le donne – Ognuno di noi può decidere di confermarli o smantellarli, è questo che ci rende tutti responsabili di una scelta precisa e consapevole. Solo così decidiamo da quale parte stare”

“Imparare le parole giuste per trattare un tema tanto delicato è indispensabile: soffermarsi su come era vestita la vittima di una violenza o descrivere in dettaglio le ferite subite è come sottoporre donne già profondamente provate a una seconda violenza – dice Vincenzo Mastronardi, criminologo e psichiatra -.  Questo peraltro sposta l’attenzione dell’opinione pubblica, accendendo i riflettori sulla vittima in modo distorto: le donne si sentono giudicate, sul banco degli imputati, violate nel loro pudore. Le parole vanno soppesate con estrema delicatezza, pur nel rispetto del diritto di cronaca, perché la lettura morbosa dei fatti può avere conseguenze serie sulle vittime, così come chiarito dall’articolo 10 del Manifesto di Venezia”.

I corsi sono stati anche l’occasione per riflettere sui dati molto preoccupanti delle conseguenze a lungo termine degli abusi sui figli delle vittime, di cui purtroppo si parla ancora molto poco, e per proporre l’introduzione del reato di violenza assistita. “Oggi questa è solo un’aggravante ma chiediamo che possa diventare un vero e proprio reato

perché si tratta, di fatto, di una forma di maltrattamento – osserva Alessandra Kustermann, direttora Uoc del pronto soccorso Ostetrico-ginecologico e del Soccorso Violenza Sessuale e Domestica del Policlinico di Milano -. I bambini e ragazzi che ne sono vittime subiscono danni che li accompagneranno per tutta la vita e di cui né la madre né la società sono spesso consapevoli”.

“Le conseguenze sono gravi, anche nell’età adulta: l’educazione emotiva viene meno, gli strascichi di traumi dei quali si è stati a lungo testimoni e vittime indirette modificano la capacità di affrontare la vita – sottolinea Danila Pescina, criminologa ed esperta di psicologia delle dipendenze – I figli maschi di vittime di abusi sono poi più inclini, una volta cresciuti, a mettere in atto violenza nelle relazioni di coppia e le femmine, purtroppo, a subirla come fosse un destino ineluttabile”. Parlare di tutti gli aspetti della violenza sulle donne trovando le parole giuste per farlo significa perciò alzare il velo sulle sofferenze di vittime e testimoni, senza alimentari con racconti morbosi e voyeuristici gli stereotipi che sono alla base delle violenze.

“Il nostro sostegno a questi incontri prosegue perché crediamo sia necessario creare una coscienza collettiva a tutela di chi è più fragile: abbiamo iniziato con il progetto per la lotta all’abuso sui minori, avviato ormai due anni fa e tuttora in corso, proseguiamo con corsi di alto livello per sensibilizzare su maltrattamenti, abusi e violenze sulle donne” conclude Lucia Aleotti, membro del Cda di Menarini.

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