Il tentativo di alterare le proprie prestazioni sportive è da anni un fenomeno esistente. Per molto tempo, nessuna punizione era prevista dall’autorità giudiziaria.
Ad oggi, invece, la Wada sancisce un elenco di sostanze e pratiche considerate dopanti. Come già ampliamente descritto, in altre pagine di questa rubrica, nell’ambito dello stesso inventario, spesso, sono introdotti farmaci e pratiche mediche, senza tener conto dell’eventuale loro scopo terapeutico.
Ebbene, tra questi sistemi contrari all’etica sportiva in quanto ingannevoli nei confronti dell’avversario e pericolosi per la propria saluta, si deve focalizzare l’attenzione sul cosidetto “doping genetico”, ultima avanzata frontiera del fenomeno che si basa su tecniche di ingeniera genetica utili a modificare la struttura cellulare di alcuni tessuti, al fine di renderli idonei alla pratica sportiva.
La variazione avviene direttamente sul dna e, pertanto, è difficile da rilevare . Non vi è dubbio inoltre che tale prassi possa essere molto pericolosa per gli atleti, nonostante gli stessi possano arrivare a raggiungere livelli di prestazione altissimi.
Orbene , la principale differenza tra doping genetico e quello cd. tradizionale si ravvisa nel fatto che allo sportivo non vengono più somministrate sostanze dopanti, come gli anabolizzanti o gli ormoni, ma materiale genetico diverso.
Questa usanza avveniristica appare senza dubbio ancora più eticamente scorretta di quelle conosciute e poste in essere fino ad ora, giustificata dal diffondersi di una mentalità tesa ad accentuare l’aspetto agonistico sull’aspetto giocoso, ove vincere diventa la cosa più importante.
Si può pertanto presupporre che questa mentalità e l’ascesa degli interessi economici stanno, come nel caso del doping genetico, intensificando i problemi morali nello sport, aumentando la ricerca di nuovi mezzi di manipolazione orientati al superamento dei propri limiti.
Un enorme supporto è e sarà dato dagli sviluppi della ricerca biomedica a cui la Wada ha iniziato a far fronte dopo il congresso di Copenhagen del 2003, prevedendo programmi di ricerca diretti ad individuare le metodologie idonee a scoprire l’eventuale modifica genetica degli atleti.
Per info ed approfondimenti, scrivere a avvocato@valentinaporzia.