“Non è vita così…si stava sentendo male…poi è caduta a terra…prendi l’acqua…ma acqua non ne avevamo più…buttagli l’acqua…buttagli l’acqua addosso…”. È uno stralcio di una conversazione intercettata dalla Procura di Bari nell’inchiesta “Macchia Nera” su una presunta organizzazione di caporali, che ha portato oggi all’arresto di 3 persone e per altre 4 è stato disposto l’obbligo di dimora (sono 11 in totale le persone indagate).
Al telefono due braccianti raccontano quanto accaduto ad una loro collega, che si era sentita male a causa del caldo e del troppo lavoro, senza essere soccorsa. Era il 22 luglio 2016. L’indagine della finanza era appena cominciata. Da allora in poi gli investigatori hanno raccolto numerose testimonianze di braccianti sfruttati. Una donna racconta di essere addetta a incassettare le ciliegie nel magazzino di Bisceglie e, poi, all’acinellatura. Nei campi “giungevo tramite un bus dell’azienda dopo essere partita da Mola di Bari, intorno alle ore 01.30” e “lavoravo anche per 15 ore consecutive, sempre in piedi, con una breve pausa pranzo di soli 30 minuti”. “Coloro che non pagavano – racconta la donna – venivano allontanati”. “Sono stato costretto a sottostare alle condizioni imposte, – spiega agli investigatori un altro bracciante – perché ho una famiglia da mantenere composta da 4 persone e sono l’unica persona a lavorare in casa e soprattutto perché non riuscivo a trovare altri lavori”.
La presunta caporale, che i braccianti conoscevano come “Marisa”, istruiva i lavoratori su cosa rispondere in caso di controlli dei finanzieri , fornendo loro “bigliettini promemoria”: non dovevano chiamarla “caporale”, dovevano dire di lavorare 6 ore al giorno (e non 14 come invece avveniva) e non riferire che le corrispondevano una percentuale sul guadagno, già molto basso, che gli inquirenti ritengono una “vera e propria tangente sulla manodopera”.