Ucciso da un “killer prezzolato”, la cui condotta “è stata orientata unicamente da un movente di carattere economico”. E’ quanto scrivono i giudici della Corte di Assise di Appello di Bari a proposito della morte di Giuseppe Sciannimanico – l’agente immobiliare ucciso a Bari il 26 ottobre 2015 – nelle motivazioni della sentenza con cui nel marzo scorso hanno confermato la condanna a 30 anni di reclusione inflitta con il rito abbreviato al pregiudicato Luigi Di Gioia, ritenuto l’esecutore materiale del delitto. Il presunto mandante, Roberto Perilli, collega della vittima, è stato condannato nei mesi scorsi alla pena dell’ergastolo.
Stando alle indagini della Squadra Mobile, coordinate dal pm Francesco Bretone e i cui esiti sono stati condivisi dai giudici, Perilli commissionò l’omicidio di Sciannimanico a Di Gioia promettendogli un compenso di 20 mila euro perché “nutriva rancore e astio in quanto lo vedeva come un temibile concorrente, una concreta minaccia per i suoi affari”.
Sciannimanico fu ucciso con due colpi di pistola in una strada isolata del quartiere Japigia di Bari, dove era stato attirato con la scusa di un appuntamento di lavoro finalizzato a visitare un appartamento in vendita. Di Gioia aveva preso appuntamento con Sciannimanico già quattro giorni prima di ucciderlo “per prendere contezza delle fattezze fisiche della vittima designata”. Non lo conosceva e “non aveva personalmente alcuna ragione per ucciderlo” ma aveva “accettato di commettere il delitto commissionatogli, scrivono i giudici nelle motivazioni, per una ragione di vile denaro, indicativo di totale mancanza di sensibilità e pietà umana”.
“I soldi fanno aprire gli occhi anche ai ciechi” diceva lo stesso Di Gioia in una intercettazione telefonica con alcuni familiari. Avrebbe quindi “pazientemente tessuta una sorta di tela del ragno per attirare il giovane in una autentica trappola” e poi “soppressa una giovane vita per volgari motivi di concorrenza commerciale”.