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Bari, dall’ernia inguinale al coma e ritorno: l’inferno chirurgico di Pino Neviera

Pubblicato da: Antonino Palumbo | Dom, 10 Giugno 2018 - 11:00
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Rischiare di morire durante un intervento per l’asportazione di un’ernia inguinale. Salvarsi per miracolo, dopo che mi hanno reciso l’arteria iliaca e hanno perforato il duodeno e il peritoneo, e poi portare addosso i segni di quell’esperienza. Un caso di mala sanità denunciato nel 2015 da Pino Neviera, consigliere comunale di Bari, che ancora oggi convive con le conseguenze fisiche e psicologiche di quella disavventura.

Consigliere, come sta?
E’ una storia che pian piano ho cercato di superare psicologicamente, ma porto ancora i segni addosso ed è inevitabile che guardandomi allo specchio ritorni il pensiero di ciò che è accaduto. Ho subito l’ultimo intervento a marzo dello scorso anno, per una conseguenza non voluta dell’intervento che mi salvò la vita.

L’ennesimo capitolo della sua odissea?
Venivo da un duplice intervento di ernioplastica inguinale fatta in maniera tradizionale. Nel togliere la vecchia garza, si è verificato un problema che mi ha costretto ad un ennesimo intervento subito e, grazie a un bravo urologo, ho risolto la situazione.

Torniamo all’inizio, a quell’ernia inguinale che rischiò di costarle cara…
Ho rischiato di morire di setticemia. Mi hanno aperto completamente l’addome per suturare l’arteria iliaca che mi era stata recisa di netto, mandandomi in coma.

Cosa ricorda dell’intervento?
Nonostante fossi in anestesia, vedevo tutto quello che accadeva intorno e ricordo anche come mi hanno trattato alcune persone in sala operatoria. Ma forse vagheggiavo io. Ho subito quattro interventi in tre giorni. Quando mi hanno chiuso l’arteria iliaca, non si sono accorti che avevo duodeno e peritoneo perforati. La notte successiva “diedi di matto”. Mi fecero fare una TAC e se ne accorsero, mi riportarono in sala operatoria con il dieci per cento di possibilità di salvarmi. Per fortuna trovarono subito il problema e fu suturato subito.

Poi la rianimazione…
Venti giorni. Sono uscito il lunedì dell’Angelo. Ho avuto le visioni che hanno tutti, c’è chi ci crede e chi non crede: un’esperienza che mi ha fatto vedere la vita in maniera diversa.

Neanche quando guarda gli effetti della sua odissea…
Porto i segni delle cicatrici e, avendomi chiuso a mano, ho ancora l’addome scomposto. Porto tutt’ora la panciera e devo contenermi a mangiare.

Chi l’ha salvata?
Mia moglie: chiamò uno dei migliori avvocati del foro di Bari, che telefonò alla professoressa Pezzolla, in quanto sua conoscente e, quando seppe delle mie condizioni di salute fece pesare la sua e la mia posizione, nei confronti di alcune persone e, subito dopo mi trasferirono in altro reparto con una nuova equipe. Logicamente autorizzato il trasferimento, in quel momento è come se avessero accettato la sfiducia nei confronti dell’equipe medica precedente

Quindi è importante essere “qualcuno” in questi casi?
Si. Credo di essermi salvato anche grazie al ruolo che rivesto, se non fossi stato un consigliere comunale forse sarei morto.

Dopo la mala sanità, però, ha sperimentato la buona sanità…
Quando sono stato nel reparto della professoressa Pezzolla, sembrava di non essere in Italia. Ed erano trattate con amore anche le persone che non conoscevano nessuno.

Secondo lei c’è un sistema per far diminuire i casi di mala sanità?
Si: dare meriti ai medici bravi e non costringerli ad andare all’estero. Sa quanto sono costato allo Stato? Più di un milione di euro. Un intervento che si fa in dieci minuti, senza anestesia totale, è stato fatto in laparoscopia. Poi bisogna aggiungere il costo della degenza in ospedale, di cui 20 in rianimazione nonché il costo di eventuale risarcimento.

Qual è l’aspetto che l’ha più amareggiata?
Quello che mi è accaduto non ha precedenti nella storia della medicina. Secondo me o il medico stava dormendo in piedi, o mi ha fatto operare da qualcun altro: ma le immagini della sala operatoria erano già belle e cancellate.

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