In Puglia aumentano le denunce per estorsioni, +42,5 per cento negli anni che vanno dal 2010 al 2015. A rilevarlo un’indagine condotta dal Ccentro studi di Confartigianato Imprese Puglia, che ha elaborato gli ultimi dati relativi alle denunce presentate all’autorità giudiziaria. Ecco l’incremento nella nostra regione: 565 segnalazioni nel 2010; 611 l’anno dopo; 671 nel 2012; 638 l’anno successivo; 754 l’anno dopo ancora e 805 nel 2015. La crescita nel quinquennio è stata, dunque, di 240 denunce in più rispetto al 2010, pari al 42,5 per cento.
A Bari, invece, negli ultimi due anni sono in calo gli episodi di estorsione a commercianti e imprenditori ma i numeri restano ancora molti. Nel 2017, per la precisione, sono stati 289 a Bari rispetto ai 361 del 2015, ovviamente si tratta di casi denunciati o scoperti perché poi ce ne sono molti altri di cui non si sa nulla.
Non c’è quartiere “immune” ma dove il fenomeno è più soffocante è al Libertà, San Paolo, Japigia, San Girolamo, Carbonara, Carrassi e San Pasquale: sono i rioni dove si registrano più casi. Negozianti costretti a pagare da 100 a 500 euro al mese, in base all’importanza dell’attività (grandezza del negozio, volume di affari, clientela), a versare il “regalo di Natale” per i detenuti. Sono diverse, però, le forme di estorsione: dalla classica richiesta di danaro mensile, ad una tantum sino all’imposizione dell’acquisto di determinati prodotti. Il clan Parisi, ad esempio, costringeva le ditte edili a comprare cemento da alcune aziende a loro vicine, oppure imponevano nei cantieri il servizio di guardiania facendo assumere affiliati alla cosca. Una forma di estorsione più “evoluta”. A San Pasquale e Carrassi, invece, l’Antimafia ha scoperto che i clan costringevano i commercianti ambulanti e non ad acquistare le loro biste di plastica, ad un prezzo ovviamente maggiore rispetto al normale valore di mercato. A San Girolamo i negozianti se non pagavano il pizzo venivano tartassati e, in alcuni casi, obbligati a chiudere all’orario deciso dai criminali.