Camminando tra i marciapiedi con i mattoncini in terracotta che li caratterizzano rispetto a quelli delle vie limitrofe, adornati dalle fioriere che ne hanno sancito l’ultimo tentativo organico di riqualificazione, ci si imbatte in vetrine di ogni genere di merce. Persino in laboratori di sartoria aperti sulla strada, che hanno preso il posto di negozi e sono gestiti da cittadini di origine cinese. Ma alle vetrine che espongono tessuti, calzature, casalinghi e gelati, si affiancano saracinesche serrate contraddistinte dai cartelli: vendesi o affittasi. Lì l’attività è morta. “Il commercio qui è morto” commenta sconsolato un residente sulla sessantina.
Via Manzoni a Bari è strada di frontiera. E’ strada limite. Da un lato delimita e chiude idealmente il signorile quartiere Murattiano, dall’altro apre le porte a una delle zone più complesse e popolari della città: il Libertà. Le luci dei negozi che la animano rappresentano da sempre il segno vitale di una zona arida di spazi verdi, piazze, centri di aggregazione e culturali, che altrimenti sarebbe definita dormitorio. Via Manzoni è storicamente la via commerciale del centro cittadino ma le saracinesche abbassate, i cartelli per la ricerca di investitori, le vetrine vuote, sporche e abbandonate, sono lì a testimoniare una crisi endemica. Profonda.
Non c’è isolato che non conosca esercizio commerciale dismesso, da via Putignani a via Crisanzio. Se ne conta una media di uno ogni cinque. E non c’è categoria merceologica o dimensione immune: dal grande magazzino di scarpe a quello di abbigliamento, dalla rosticceria paninoteca alla bigiotteria. Non fa sconti neanche la vicinanza alla parte più densa di attività, quella in apparenza più favorevole al commercio, più prossima a piazza Garibaldi. Anzi. E’ lì, dove ci sono più vetrine che se ne contano maggiormente spente. E al posto delle inserzioni per promuovere gli articoli dominano i cartelli delle agenzie immobiliari o quelli “fai da te”. Non fanno eccezione le caratteristiche via Altamura e Barletta, affacciate sulla piazza antistante la scuola Garibaldi, il pomeriggio colma di bambini che giocano a due passi dalle mamme che chiacchierano. Negli isolati più prossimi a corso Italia, poi, le attività si diradano fino a scomparire, e le traverse poco appetibili dei dintorni, come via Nicolai (forse la più bistrattata dalle amministrazioni comunali) e Garruba non aiutano certo a creare le condizioni per far sì che nascano nuovi negozi. Ciò che spesso il Comitato dei commercianti di via Manzoni lamenta è palpabile compiendo dei passi su e giù per la strada.
Alcuni negozi che trattano merce non certo di qualità non aiutano sicuramente a rendere attrattiva la strada per chi abita lontano dal centro, ma la carenza di posti auto nei dintorni, quella di punti di ristoro, di luoghi di sosta e, forse, la scelta difficile di non renderla pedonale e chiusa al traffico delle auto, non aiuta. A ciò si aggiunge la crisi sistemica che ha ridotto il potere d’acquisto, i consumi e messo in crisi il commercio soprattutto di chi non è legato alle grandi catene delle multinazionali: come accade per lo più in via Sparano e dintorni. Eppure, piccoli e grandi negozi storici a conduzione familiare, con insegne che ricordano la loro prima apertura a metà degli anni Cinquanta o del decennio successivo, resistono. Fondano la loro attività ancora sulla fiducia. Sulla clientela consolidata che si ripresenta e diffonde il passaparola. La gente affezionata continua ad avere via Manzoni come riferimento per le proprie compere. Piccoli segreti da cui poter ripartire per uno nuovo rilancio.