Dalla morte alla lotta, dal dolore all’impegno civile. Il 12 luglio 2001 Michele Fazio, 16 anni, fu ucciso per sbaglio in largo Amendoni, a Bari vecchia, da un proiettile indirizzato a qualcun altro, in una guerra fra clan rivali. Una delle tante vittime innocenti di mafia, il cui nome continua a riecheggiare oggi nell’impegno dei genitori Pinuccio e Lella Fazio e nelle iniziative dell’associazione intitolata proprio a Michele.
Pinuccio, cosa rappresenta Michele oggi?
Con l’associazione giriamo scuole, associazioni, parrocchie, in Puglia e non solo. Siamo stati a Brescia, a Prato e venerdì sono venuti qui due pullman di ragazzi da Roma. Cerchiamo di tenere viva la sua memoria, di non dimenticare.
Quali sono le attività dell’associazione?
E’ nata il 21 settembre del 2004, nel giorno in cui avrebbe compiuto gli anni Michele. Facciamo poche, significative iniziative. Fra queste il presepe natalizio che dedichiamo volta per volta alle vittime innocenti delle mafie, a Melissa Bassi, a Elisa Claps, a Sara Scazzi, alle mamme e ai bambini, ai caduti di Nassiriya. Ma l’attività principale sono gli incontro come quello di venerdì con una cinquantina di ragazzi di Roma. Obiettivo? Far respirare loro il profumo della libertà che oggi si respira a Bari vecchia: ci stiamo riprendendo il nostro quartiere.
Quindi è cambiato qualcosa in 17 anni?
Sta cambiando qualcosa con il passare degli anni. La gente ha scelto da che parte stare. Io cammino a testa alta, ho messo la mia faccia per dire: “Adesso basta”. Il problema di Bari vecchia non sono le mafie, ma siamo noi. Michele fu colpito non solo dai proiettili, ma anche dal muro dell’omertà. Noi cittadini dobbiamo collaborare con le forze dell’ordine, con la magistratura. Io da solo non posso combattere la criminalità organizzata, il compito mio e di mia moglie è parlare ai giovani e far capire loro che chi entra nelle mani delle mafie ha due vie d’uscita: il carcere o il cimitero.
Peggio l’omertà o la rassegnazione?
La rassegnazione è figlia della paura. L’omertà è quanto di più brutto esiste, perché nell’anima rimarrà sempre uno scrupolo e un peso enorme.
Come si combattono le mafie?
Loro usano le armi, noi usiamo la labbra per parlare e gli occhi per far comprendere, dobbiamo aiutarci fra di noi, essere tutti uniti, non chiuderci nel dolore, nel silenzio.
Qual è il messaggio che porta ai giovani?
“Adesso basta”, non avere paura di camminare a testa alta. Le mafie hanno paura della gente onesta, ma anche delle scuole, dell’istruzione, perché i giovani ne parlano e decidono di combattere le mafie, di opporsi. Oggi la frase “legalità” deve far rima con impegno.
La domanda che le rivolgono più spesso i ragazzi?
La più frequente è “Hai paura?” e “Ti hanno minacciato?”. Io rispondo che non ho paura e che non verranno a minacciarmi, perché così firmerebbero la loro condanna.