Avrebbe tentato di uccidere la figlia altre due volte, mentre era da solo in casa con la piccola, prima di portare a termine il delitto quando la bimba di tre mesi era ricoverata in ospedale: la Procura di Bari contesta nuove accuse al 30enne di Altamura Giuseppe Difonzo, imputato per l’omicidio premeditato della figlia Emanuela, uccisa nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2016. La piccola era nata nell’ottobre 2015 ed era stata ricoverata per 67 giorni in meno di tre mesi a causa di crisi respiratorie provocate, secondo la Procura, sempre dal padre.
Al termine dell’udienza di oggi dinanzi ai giudici della Corte di Assise di Bari, i pm Simona Filoni e Domenico Minardi hanno depositato le nuove contestazioni per il padre: due tentati omicidi aggravati risalenti al 19 novembre 2015, quando la bambina aveva un mese, e al 10 gennaio 2016, che sarebbero avvenuti in casa. Giuseppe Difonzo, difeso dall’avvocato Antonello Contaldi, è detenuto per il delitto dal novembre 2016, ma all’epoca era già in carcere per violenza sessuale su una minorenne, una 14enne figlia di amici di famiglia, per la quale è stato condannato in primo grado con rito abbreviato alla pena di 3 anni di reclusione.
Oggi in udienza è stata sentita come testimone la mamma di quella ragazzina, la quale ha raccontato di essere stata minacciata di morte dal 30enne per le accuse di abusi sulla figlia e di aver “sospettato fin da subito che fosse stato lui ad uccidere Emanuela. La bambina stava male sempre quando era sola con Giuseppe”. Durante il racconto della donna, la madre della bambina uccisa, che è parte civile nel processo, è scoppiata in lacrime, mentre l’imputato ha chiesto di lasciare l’aula. Il processo proseguirà all’udienza del 12 giugno, quando saranno sentite come testimoni la curatrice nominata all’epoca dal Tribunale per i Minorenni di Bari, l’assistente sociale e la responsabile del consultorio che avevano in carico Emanuela. Furono le loro relazioni, pochi giorni prima del decesso della bambina, ad escludere ipotesi di maltrattamenti convincendo i giudici minorili a revocare il provvedimento di affidamento in comunità che era stato precedentemente disposto per la piccola.