“Li disarmo con un abbraccio, appena tolte le manette. Non ne sono abituati e rimangono ammutoliti, perché provengono da contesti violenti. Quartieri e famiglie violente. La nostra arma è far loro conoscere l’amore che non hanno conosciuto”.
Raffaele Diomede è da due anni coordinatore della comunità penale educativa pubblica Chiccolino di Bari. Un luogo simbolo ubicato all’interno di una villa confiscata dallo Stato a una potente famiglia di contrabbandieri sul lungomare del quartiere San Girolamo. L’abbraccio è il suo benvenuto a chi varca la soglia del centro. Sono tutti ragazzi minorenni, dai 14 ai 17 anni, che hanno compiuto un reato grave e decidono di seguire un programma riabilitativo in accordo col Tribunale.
Nel centro ci finiscono autori di rapine, scippi, spaccio di stupefacenti, sparatorie, tentati omicidi e stupri. Ragazzi cui la malavita ha venduto un futuro facile e “ha dato un ruolo nella società che prima non avevano”.
L’obiettivo della comunità è rendere questi ragazzi consapevoli del perché hanno compiuto un reato, regalar loro un’opportunità per un nuovo ruolo nella società, escludere che posano ricadere nella recidiva, cosa che per chi finisce in carcere o non compie un percorso di prova con le comunità è molto probabile che accada. Per questo sono messi alla prova, seguendo un percorso che va da un minimo di sei mesi a due anni e oltre. La struttura ne può ospitare al massimo otto e attualmente ci vivono in sette.
Da che contesti arrivano questi ragazzi?
“Difficili, ovviamente. Ma non si pensi che a compiere dei reati siano solo i figli delle famiglie di estrazione criminale, figli di boss ecc. La maggior parte di loro, invece, proviene da famiglie non dedite alla delinquenza, nelle quali è forse mancata una guida, un riferimento corretto. Questo lo posso dire con cognizione, grazie ai miei 15 anni di esperienza come educatore. Potenzialmente tutti i minori possono delinquere, mentre siamo portati a credere che ci siano indicatori particolari facilmente individuabili per portare un ragazzo a compiere dei reati. Non è così. Non esistono minori a rischio più di altri. Tutti lo sono quando non incontrano le risposte ai loro bisogni, a partire dal diritto allo studio. La maggior parte di loro ha abbandonato la scuola e ha vissuto senza progetti di vita. In questo è brava la malavita a intercettare prima dello Stato queste giovani vite e offrire loro la possibilità di avere un ruolo nella vita, nella società”
Chi potrebbe essere così fragile da cadere in mani sporche?
“Anche un ragazzino di 15anni bullizzato può esserlo, proveniente da una famiglia magari povera e onesta. La criminalità gli offre soldi facili, armi, il rispetto nell’ambiente che lo circonda. Diventano ragazzi fondina, che nascondo e spostano armi e droga”.
In che modo la comunità può dar loro un ruolo?
“Dando loro fiducia, responsabilità, opportunità prima sconosciute. Ma tutto passa prima dalla consapevolezza. Siamo i primi in Italia, ad esempio, a sperimentare il gioco di ruolo”.
In che consiste?
“Si utilizza un’ambientazione fantasiosa dove non c’è una storia costituita. Ogni giocatore ha una missione e in base alle sue scelte si producono degli effetti, da cui nascono altre problematiche o soluzioni”.
Cosa accade in concreto?
“I ragazzi hanno dei ruoli. L’ambientazione è quella della Bari medioevale, ovviamente fantastica. Ci si organizza in squadre, con cui condividere problemi e soluzioni. Nel gioco abbiamo immaginato che la figlia del re non stava bene e bisognava andare a prendere un medicinale non disponibile in città ma nel paese vicino. Bene, la loro prima soluzione è stata “andiamo lì a rubare la medicina”. Ma questo ha prodotto delle conseguenze: la guerra tra i due paesi che ha fatto perdere del tempo e causato la morte della ragazza. Così, i ragazzi si sono resi conto che le loro azioni hanno causato degli effetti non positivi. In questo modo è cambiata la strategia. Il loro modo di affrontare le problematiche, cercando la soluzione del dialogo col paese vicino. Così hanno imparato a cooperare e i risultati sono stati straordinari, inaspettati”.
A cosa hanno portato?
“A un grado di consapevolezza e responsabilità elevato nelle scelte, nel ponderare l’azione e l’effetto dalle loro azioni. Ha permesso di riflettere e notare che se nella vita reale compio un illecito ci saranno delle conseguenze devastanti sulla propria vita e quella degli altri. Un altro ruolo affidato è stato quello del processo penale, fatto nell’aula consiliare del Comune di Bari, partendo da un caso vero trattato dal tribunale dei minorenni di Lecce, quello di atti di bullismo e violenze contro un coetaneo disabile. I ragazzi hanno interpretato chi il giudice, chi la vittima, chi l’accusa. Ognuno ha svolto un ruolo, ha vissuto nei panni dell’altro, rendendosi conto delle ferite difficili da ricucire per la famiglia e la vittima. Da questa esperienza nascerà anche un docufilm da cui emerge per loro che un altro mondo di vita è possibile con scelte diverse”.
Ci sono altre iniziative simili?
“Sì. Col teatro e la musica. Una volta abbiamo fatto una scommessa e portato i ragazzi allo spettacolo dei Momix al Petruzzelli, con l’aiuto dell’assessorato comunale alla Cultura. È stata un’esperienza per loro straordinaria, nella quale hanno conosciuto la bellezza della città e dell’arte a loro sconosciuta. Ora in quattro parteciperanno orgogliosamente come figuranti del corteo storico di San Nicola. Un altro passo importantissimo”.
Che opportunità trovano i ragazzi fuori dalla Comunità?
“Questo è un altro passo difficile. Sempre tornando ai ruoli, un progetto importante è quello avviato con una società di guardie giurate non armate di Altamura, la Pelicanus. Loro diventano tutori della legalità e questo diventa un ruolo fondamentale, che li rende responsabili e li affranca da ciò che possono pensare le persone che lo circondano.Perché chi esce da questo percorso rischia di essere etichettato per sempre. Ma vedere i ragazzi, e ne sono passati all’incirca 150 da noi, lavorare e sentirsi parte sana della società, col casellario giudiziario pulito, è la massima soddisfazione per il nostro lavoro. Assieme a un loro abbraccio”.