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Al Bif&st la prima come regista di Paolo Sassanelli: lunghi applausi al Petruzzelli per l’attore di Bari

Pubblicato da: redazione | Lun, 23 Aprile 2018 - 16:45

È stato accolto da alcuni minuti di applausi “Due piccoli italiani”, primo lungometraggio da regista dell’attore Paolo Sassanelli che è anche sceneggiatore e uno dei protagonisti del film, nei panni di Felice, insieme a Francesco Colella che interpreta Salvatore. Presentato ieri sera fuori concorso e in anteprima mondiale al Bif&st di Bari, la pellicola, che sarà a giugno nelle sale, è una riflessione poetica e a tratti ironica sul mondo della diversità e del disagio psichico, raccontato attraverso le avventure di due amici inseparabili che fuggono da una clinica psichiatrica della Puglia per arrivare in maniera rocambolesca prima a Rotterdam e poi in Islanda.

E qui scoprire che la cura alla loro apparente incapacità di vivere nel mondo può arrivare dalla stessa società che li mette da parte e sta tutta nella semplicità dell’amicizia e nella comprensione di chi ti fa sentire finalmente a casa. Un compito, questo, al quale assolve Rian Gerritsen nei panni di Anke, assistente olandese della prostituta “per scelta” Eva, interpretata da Marit Nissen. “La nostra società – spiega Sassanelli – stabilisce che entro un determinato limite siamo normali e oltre questo non c’è più la normalità. Mentre io credo non dobbiamo proprio averlo un limite”. L’attore evidenzia di non condividere il concetto di “famiglia tradizionale”, perché “la famiglia è dove ci sono le persone che ti vogliono bene: sono i tuoi amici, chi ti accoglie e ti protegge”.

A un certo punto della storia, quando i due protagonisti saranno a Rotterdam, Felice dirà a Salvatore: “Forse non ce la facciamo proprio a stare fuori”. Ma anche se si “comincia con la paura che li porta a fuggire – rileva Colella – poi entrambi scoprono l’intensità di una luce diversa. Non ne sono consapevoli ed è quella la loro poesia: finire in una pozza d’acqua calda in mezzo al gelo è come una ricerca di calore”. Quanto al successo riscosso dalla prima proiezione, Sassanelli spiega di essere “stato letteralmente travolto e commosso perché se si alza in piedi tutta la platea del Petruzzelli ad applaudirmi, mi chiedo cosa ho fatto. È una storia che parte molto dura, quasi respingente – aggiunge – e il pubblico rimane un pò perplesso. Poi si apre, lo frego e gli rubo il cuore. Perché per me al cinema e a teatro tu devi poter ridere e piangere nello stesso momento”.

Stamattina, al Bif&st è andata in scena la masterclass di Andrea Ferreol: “Un altro film come La grande abbuffata in Francia è impossibile: siamo diventati politicamente corretti e bisogna essere inquadrati. Quindi non si farebbe più”, ha detto dopo la proiezione de “La grande abbuffata” di Marco Ferreri. Per Ferreol, non si farebbero più “neanche Ultimo tango a Parigì o La maman et la piutain: sarebbe molto difficile fare questi film – rileva – perché in più non ci sono i produttori come Jean Pierre-Rassam che era totalmente pazzo e ha prodotto La grande abbuffata. Adesso i produttori lavorano con la televisione. I soldi vengono dalla televisione francese”. Di Ferreri, che le chiese di ingrassare molto per il film, l’attrice ricorda gli “occhi blu con cui ti guardava dentro”. “All’inizio del film – racconta – ho avuto molta paura di lui perché lo capivo male, non parlavo italiano, e lui urlava sempre. Dunque mi sentivo a disagio. Poi, poco a poco – ha aggiunto – ho amato quest’uomo e lo ringrazio di avermi scelta, perché ovviamente ha cambiato totalmente la mia vita. Lui non era calmo, ma con me era sempre carino”. Ferreol sottolinea che “Sono pazzo di Iris Blond” di Carlo Verdone è stato il suo ultimo film in Italia: “Dopo il cinema italiano non mi ha chiamato più – spiega – forse perché sono francese, e dunque devono pagare il viaggio, la diaria, l’albergo. Invece un italiano è sul posto e costa meno di me. Forse – ipotizza – è per questo o forse perché nella vita c’è un periodo per tutto: prima andavo molto all’estero, mentre ora è la Francia che ha preso a chiedermi di lavorare. Bisogna lottare ma accettare. Io – conclude – spero di tornare, lo voglio fortemente, ma forse era scritto così”.

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