Nervi sempre più tesi nella maggioranza di centrosinistra in Regione e, in particolare, tra il governatore Michele Emiliano e la sua coalizione. Sono passate ormai due settimane dal vertice di maggioranza di inizio aprile, ma nulla è cambiato: il rimpasto di governo non c’è ancora stato per frizioni e litigi interni al Pd, in una sorta di tutti contro tutti, e ogni passaggio in Consiglio regionale diventa motivo per sgambetti e screzi.
La situazione è talmente tesa che Emiliano, ieri, è arrivato a minacciare le dimissioni in caso di una mancata approvazione di una mozione del governo (inizialmente sostenuta dal M5S) su una modifica alla legge sulle Residenze sanitarie di assistenza (Rsa). Nulla di trascendentale, una norma che andava adeguata obbligatoriamente per evitare l’impugnazione da parte del governo nazionale. Eppure, è bastato questo per accendere un nuovo fuoco nella maggioranza: alla fine il centrosinistra, con Emiliano assente in Aula, non ha votato come avrebbe voluto il presidente della Regione.
La giunta è praticamente paralizzata e il rimpasto bloccato da scontri e veti posti da alcuni consiglieri del Pd: ad esempio, nel gruppo in Consiglio regionale c’è chi ancora non accetta l’idea che Giovanni Giannini possa riavere la delega ai Trasporti. L’ex assessore si è dimesso circa un anno fa dopo aver ricevuto un avviso di garanzia da parte della Procura di Bari, un’inchiesta che – secondo voci di corridoio – sarebbe destinata all’archiviazione. Ma ad oggi, formalmente, Giannini risulta ancora indagato e questo pone un problema: Michele Mazzarano (nemmeno indagato) e Filippo Caracciolo (anche lui dimessosi dopo essere stato coinvolto in un’indagine penale poco prima del voto del 4 marzo) evidenziano un trattamento diverso. Lo stesso Caracciolo pare non veda di buon occhio una eventuale “promozione” ad assessore di Ruggiero Mennea (entrambi punti di riferimento del nord Barese e della Bat), con Fabiano Amati alla finestra. E poi ci sono gli scontenti del gruppo dei “Popolari” che vorrebbero che venisse tolta la delega a Salvatore Ruggeri (Udc). A livello territoriale, con le dimissioni di Mazzarano, Taranto e la sua provincia non sono rappresentati in giunta, mentre si rischia di avere quattro salentini (se non addirittura 5, se Mdp dovesse imporre Ernesto Abaterusso e se i renziani puntassero su Sergio Blasi, ipotesi difficile ma non da scartare del tutto). Insomma, il rimpasto si è trasformato in una sorta di labirinto per Emiliano ma Loizzo prova ad indicargli la via di uscita.
Oggi anche Mdp è tornato all’attacco: “Sono settimane, forse mesi, che la Regione Puglia vive in uno stato che si può definire di crisi di governo”, ammette il capogruppo Ernesto Abaterusso. “La giunta regionale, infatti, è monca per un terzo dei suoi componenti e settori importanti quali lo sviluppo economico, i lavori pubblici, l’ambiente sono privi del loro assessore di riferimento. Sono passati ormai più di 15 giorni dalla riunione di maggioranza nella quale sono state prese delle decisioni (programma di fine legislatura da concordare, un metodo collegiale nell’azione di governo, strategia condivisa in vista del 2020) senza che ad esse sia seguita alcuna decisione. Ricordo – prosegue – che per la stesura del programma si era decisa una riunione di Emiliano con i rappresentanti dei gruppi, partiti e movimenti e che solo dopo si sarebbe dato il via libera al rimpasto con i nomi forniti dai partiti. Il problema vero è che la guerra all’interno del Pd si sta riverberando sull’istituzione regionale paralizzandone qualsiasi forma di attività. E nel frattempo i problemi languono e si aggravano. Sanità, Xylella, agricoltura, fondi comunitari e sviluppo, solo per citarne alcuni, attendono risposte che non arrivano. Una situazione che crea disagi e divisioni con relativo rischio di implosione della maggioranza a causa di un presente e di un futuro nebulosi e incerti. Se si resta inermi si rischia di trasformare la crisi in agonia. Invito pertanto il presidente Emiliano a uscire dall’indecisione”.