Con il 43enne di Turi, provincia di Bari, Alfredo Santamato, alias Muhammad, indagato per apologia di terrorismo e sottoposto per questo alla misura della sorveglianza speciale “non si è in presenza di mere prese di posizione religiose o ideologiche, benché estreme”, arrivando “esplicitamente a prospettare il proprio martirio”.
Sono le motivazioni alla base della decisione della Corte di Appello di Bari di confermare la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per due anni nei confronti dell’uomo. Le indagini della Digos, coordinate dalla Dda barese, hanno documentato numerosi contatti via web con jihadisti e persone sospettate di terrorismo, ma la presunta pericolosità di Santamato deriverebbe anche dal fatto che l’uomo è un camionista e dispone di un tir, ritenuto una vera e propria arma nelle sue mani.
“Non deve o può trarre in inganno la natura apparentemente solo virtuale del percorso di radicalizzazione di Santamato”, scrivono i giudici nel provvedimento depositato nelle scorse settimane. “Nel tempo presente in cui quasi tutti si avvalgono degli stessi strumenti di comunicazione”, secondo la Corte d’Appello gli “atti preparatori” ad eventuali attività terroristiche come quelli attribuiti al 43enne “non possono essere ritenuti volatili, inconsistenti e intangibili sol perché veicolati quasi esclusivamente in rete”.
Per queste ragioni i giudici considerano la pericolosità sociale di Santamato “concreta e attuale”. Fra le prescrizioni imposte dalla sorveglianza, applicata a partire dall’aprile 2017, c’è anche un percorso di recupero sociale finalizzato alla de-radicalizzazione con un mediatore sociale individuato dalla Procura e incontri organizzati dall’Università. Prescrizione che i giudici della Corte d’Appello ritengono “necessaria” nonché “rispettosa del principio supremo di laicità dello Stato” perché “tende ad una ri-educazione civica” con modalità “conformi all’equidistanza e “all’imparzialità nei confronti di tutte le confessioni religiose”.