I boss baresi Savinuccio Parisi ed Eugenio Palermiti “non erano più né i registi né i capi carismatici dell’organizzazione criminale” perché quasi ininterrottamente detenuti nei cinque anni – dal 2010 al 2015 – durante i quali, secondo la Dda, il clan chiedeva il pizzo ai cantieri edili del quartiere Japigia, imponendo guardiani e carichi di merci da fornitori amici. È, in sintesi, quanto sostenuto dal loro difensore, l’avvocato Giancarlo Chiariello, nell’arringa nel processo con rito abbreviato che si sta celebrando dinanzi al gup del Tribunale di Bari Alessandra Susca.
Per i due capi clan l’accusa ha chiesto condanne a 8 anni di reclusione per Parisi e a 10 anni per Palermiti, sostenendo che continuavano a dare ordini ai sodali anche dal carcere. Per il loro difensore, invece, il margine di azione dei due boss era pressoché nullo, compromesso dalla detenzione e, per questo, incompatibile con una partecipazione attiva alla gestione e alle scelte strategiche relative alle attività illecite del clan.
Nel processo, che si concluderà con la sentenza il prossimo 12 dicembre, il pm della Dda di Bari Patrizia Rautiis ha chiesto 37 condanne a pene comprese fra i 14 anni e i 16 mesi di reclusione per i reati di associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di armi, lesioni personali, violazione di domicilio, invasione di terreni ed edifici, furto, illecita concorrenza con minaccia e violenza, favoreggiamento. Contro gli affiliati al clan e alcuni presunti imprenditori compiacenti si sono costituiti parti civili Comune di Bari, IACP, Associazione Antiracket, Ance, Confindustria, due aziende edili e tre imprenditori baresi vittime delle estorsioni.