La Procura di Bari ha archiviato l’indagine su presunte violazioni in materia di sicurezza e ritardo nei soccorsi relativi alla morte di Nicola Mangialardi, il canoista modugnese del Cus Bari deceduto il 9 marzo 2015 durante un allenamento, ritenendo l’incidente una tragica fatalità, causata da imprudenza.
Dopo il decesso la Procura aveva aperto una prima inchiesta per omicidio colposo a carico di due persone, l’atleta che si allenava quel giorno con la vittima e il titolare del pontile contro il quale la canoa si schiantò. Gli accertamenti della Capitaneria di porto, coordinati dal pm Simona Filoni, esclusero responsabilità e portarono ad una prima archiviazione del caso. Lo stesso pm, però, nella richiesta di archiviazione, rilevava “l’assenza di una efficace regolamentazione in materia di sicurezza della navigazione all’interno del bacino portuale di Bari, che si traduce in caos, disordine e conseguente abbassamento del livello di sicurezza della navigazione”. Nel provvedimento di archiviazione, quindi, il gip disponeva nuove indagini ritenendo che la morte del canoista “non è ascrivibile a pura e semplice fatalità”, individuando una “notevole serie di negligenze e inadempienze da parte di organi pubblici”.
In particolare il giudice chiedeva alla Procura di approfondire le modalità dell’allenamento e gli “eventuali accidenti che abbiano determinato il disorientamento”, di disporre una consulenza tecnica sul gps della canoa, di verificare eventuali “ritardi nei soccorsi” e “omissioni degli organi istituzionali che appaiono evidente concausa dei fatti in esame”. La nuova indagine, iscritta a modello 45, cioè senza indagati né ipotesi di reato, era stata affidata al pm Manfredi Dino Ciacci, il quale ora ha archiviato il fascicolo. Dalle successive verifiche, infatti, è emerso che il gps della canoa non funzionava, che non vi fu ritardo nei soccorsi e che la mancanza di un regolamento specifico non può essere collegata alla morte dell’atleta, causata dallo schianto contro una banchina.