I dati macroeconomici degli ultimi mesi, relativi alla economia nazionale, denotano una ripresa in atto. Infatti sono in rialzo, seppur leggero, i consumi e gli ordinativi dell’industria italiana. Positivi anche i dati su riduzione della disoccupazione e aumento della fiducia dei consumatori.
Insomma, si può pensare che la crisi, pesantissima, degli anni 2007/2011 sia alle spalle; anche se questo picco di crisi si inserisce in un più generico calo della produttività del sistema Italia già dall’inizio del nuovo millennio e quindi un trend di lungo termine, negli ultimi quindici anni.
Ciò detto, è in atto una importante trasformazione del sistema economico e produttivo italiano nell’approccio alle risorse, che potrebbe accelerare lo sviluppo delle imprese italiane, soprattutto nella manifattura in ambito di piccola e media impresa (cosiddetto mondo delle PMI).
E questo potrebbe dare una svolta, o almeno una accelerazione, ulteriore all’economia e alla ricchezza italiana (quella che comunemente si racchiude nella sigla PIL).
Di quale trasformazione si tratta?
Partiamo da una premessa: la caratteristica delle imprese italiane medio grandi, che sono poi la spina dorsale economica del paese, è la dimensione ridotta, spesso di origine familiare, rispetto alle concorrenti internazionali. Per citare un dato, l’Italia ha circa l’80% del proprio fatturato industriale riveniente da imprese a conduzione familiare o comunque a cura diretta dei soci/amministratori. Negli Stati Uniti o in Inghilterra, questo dato oscilla tra il 20 e 30%. Ed è inferiore al nostro anche nel resto dei paesi più industrializzati d’Europa (Germania e Francia). In questi paesi infatti, la maggior parte delle grandi imprese sono grossi agglomerati industriali quotati in borsa, o addirittura multinazionali. Il capitale è quindi diffuso tra diversi soggetti (spesso di dimensioni sovranazionali) e non necessariamente nelle mani delle famiglie fondatrici.
Il sistema italiano rappresenta un grande vantaggio in termini di diversificazione, personalizzazione e qualità dell’offerta (è evidente che in campi come moda, enogastronomia e meccanica di precisione la qualità vada d’accordo con una produzione di stampo tradizionale). Questo dato è però con gli anni, diventato un limite, soprattutto con la globalizzazione dei mercati. I grossi flussi finanziari necessari ad aggredire mercati mondiali, sono raramente a disposizione di gruppi di dimensioni ridotte. Per questo motivo, il classico (e limitato) sistema di finanziamento delle PMI è sempre stato il ricorso al credito bancario, garantito o mixato, con le sostanze personali delle famiglie imprenditrici.
Da qui un evidente problema: la crisi del sistema bancario italiano e le ridotte dimensioni delle banche solitamente coinvolte nel finanziamento e nello sviluppo delle PMI, hanno reso difficile, quando non impossibile, il processo di sviluppo; un esempio chiarificatore. Se l’impresa X avesse avuto necessità di investimenti per grosse commesse e insediamenti, o la costruzione di opifici in mercati come quello cinese, pur davanti alla certezza di ampi profitti, avrebbe avuto improvvisamente una riduzione della possibilità di reperire le risorse necessarie, e quindi avrebbe rinunciato all’affare.
Detto ciò, ecco la svolta in atto in questi mesi. Il governo italiano, attraverso una serie di normative (quella sul PIR, gli investimenti agevolati, e quelle sulla emissione di “minibond”) ha aperto una nuova stagione: in sostanza le imprese avranno molte agevolazioni nel cercare sul mercato del risparmio privato, le risorse necessarie a misure di sviluppo. Già nel 2017, moltissime matricole (circa 30, e altre 10 entro dicembre) si sono affacciate in Borsa nei segmenti dedicati alle imprese di dimensioni minori. Un vero boom, con decine di società che si quoteranno anche nel 2018. Altre imprese potranno emettere appunto minibond, cioè titoli che potranno essere acquistati come forma di investimento da vari soggetti. E nei Pir (di cui si è parlato in questa rubrica altre volte) già oggi convergono liquidità che i gestori di fondi comuni devono dedicare per legge ad imprese italiane, con una quota obbligatoria appannaggio delle PMI.
Insomma un quadro positivo perché, rispetto al passato, sarà molto più facile per imprese di qualità, trovare denaro privato, a buon mercato (cioè meno costoso dei tassi bancari) e quindi compiere investimenti, piani di sviluppo e riserve di liquidità.
A questo aspetto va aggiunto il secondo boom del 2017: quello delle start up. Anche nel nostro paese sono arrivate, con ritardo e con dimensioni ancora trascurabili rispetto al mondo anglosassone e scandinavo, le società specializzate in questo settore. Idee, progetti, brevetti innovativi, potranno essere finanziati totalmente con capitali privati interessanti non alla gestione dell’azienda, ma unicamente agli utili prodotti dallo sviluppo su larga scala di tali progetti. In sostanza anche una piccola società, dotata di una grande idea/progetto, può rivolgersi a delle società specializzate per trovare finanziatori.
Questi due fenomeni, destinati a modificare il panorama italiano già dalle prossime settimane, daranno sicuramente all’industria e mondo produttivo italiano, dotato da sempre di spirito innovativo e qualità assoluta, di colmare dei gap storici in termini di forza finanziaria e possibilità di internazionalizzazione