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Dalla stazione alla chiesetta: ecco le stanze per aiutare i malati nel centro Alzheimer di Bari

Pubblicato da: Samantha Dell'Edera | Lun, 25 Settembre 2017 - 05:15

Ci sono luoghi nella città di Bari dove una porta aperta rivela un mondo a molti sconosciuto. Una di queste porte è quella del centro Alzheimer Don Tonino Bello di Bari, in via Papa Benedetto XIII: qui volontari, neuropsicologi, educatori mettono la loro professionalità a servizio di una quarantina di persone, colpite dal morbo dell’Alzheimer. Non ci sono solo anziani a seguire le attività del centro. Il range è molto ampio, il paziente più giovane ha 43 anni, il più anziano 98.

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Nel centro Don Tonino Bello di porte ce ne sono tante, ognuna ha un cartello sopra che indica un colore, un’attività. Ognuna di quelle porte apre un piccolo mondo fatto di strumenti musicali, di carte, matite, fogli, di una cucina dove si preparano i panzerotti o la pasta, perché dall’Alzheimer non si può guarire, ma – come ci spiega Vincenzo Galgano, neuropsicologo – “lo scopo non è la riabilitazione, ma il mantenimento delle autonomie presenti”.

Il lavoro sugli ospiti è trisettimanale: vengono accolti e seguono diverse terapie, individuate non solo in base al grado del morbo, ma anche in base alle caratteristiche delle persone, al loro vissuto, alle loro passioni. I familiari restano nella villetta, precisamente al piano di sopra: qui si riuniscono, dialogano, vengono seguiti da specialisti che possano rispondere ai loro mille dubbi su come reagire all’Alzheimer.

Una di quelle porte di cui parlavamo prima è quella della stazione. All’interno della villa è stato ricreato un vagone di un treno, con uno schermo che come una finestra riproduce le immagini che si vedrebbero da una carrozza in corsa. “Serve – continua Galgano – per placare gli stati di agitazione psicomotoria. All’interno resta sempre un operatore per l’osservazione degli ospiti”.

Su un sedile c’è la Doll, una bambola paffuta con i capelli ricci e nerissimi. Serve per la terapia della bambola, molto diffusa tra i pazienti affetti dal morbo. “La doll diventa una protesi – prosegue Galgano – uno strumento per stabilire una relazione con l’ospite. C’è chi la vede proprio come una bambola, altri come un bimbo vero”.

Ecco un’altra porta: dietro c’è un stanza dove è stata riprodotta una chiesetta, con tanto di banconi e altare. Un ambiente riconoscibile e familiare per gli ospiti.

Il numero di malati seguiti dal centro è aumentato negli anni: attualmente ci sono 40 persone. “L’aumento – ci spiega il coordinatore Fabrizio Lattanzio – è legato ad una maggiore insorgenza della malattia, ma anche ad una capacità di diagnosi precoce che prima non si faceva perché, ad esempio, veniva scambiata per depressione o esaurimento nervoso. L’associazione è cresciuta notevolmente e il lavoro di sensibilizzazione ha portato ad aumentare i contatti”.

Il primo approccio avviene con il centro di ascolto, dove lavorano volontari che forniscono tutte le informazioni necessarie ai familiari che cercano un aiuto per i parenti colpiti dal morbo. L’associazione va avanti con le donazioni, la solidarietà (il 4 ottobre è stato organizzato un evento nel teatro Petruzzelli) per consentire quindi l’accesso alle attività che resta completamente gratuito.

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