La loro “colpa” è stata quella di aver indossato il velo durante una cerimonia musulmana. L’assessore del Comune di Bari, Paola Romano, e la giornalista di Repubblica, Silvia Dipinto, sul web sono state insultate pesantemente, in alcuni casi minacciate. “Sei una nullità”, “Poverella”, “Feccia umana”, “Che donna penosa”: sono solamente alcuni dei commenti che hanno invaso facebook.
Le due donne sono state anche oggetto di minacce vere e proprie, perché durante la “Festa del Sacrificio” che c’è stata la settimana scorsa a Bari hanno indossato il velo durante la manifestazione e, nel caso della cronista, durante l’intervista video al presidente della Comunità islamica, Sharif Lorenzini. “Si è messa il velo ma non le mutande”. “E’ pronta a 90 gradi, lubrificata”. “La pagherà anche lei”. “Cacciatela a calci in culo dall’Italia”, sono le frasi rivolte alla giornalista barese.
Sul caso è intervenuta la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi): “Il fenomeno delle minacce ai giornalisti e degli insulti razzisti e sessisti alle giornaliste che “osano” occuparsi dei temi dell’immigrazione e dei fenomeni di intolleranza e di razzismo sta assumendo dimensioni preoccupanti”, così Il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, hanno commentato gli ultimi casi di giornaliste diventate bersaglio di commenti su web e social network. “Siamo di fronte – proseguono i vertici della Fnsi – ad una escalation inarrestabile, che nelle ultime ore ha fatto registrare altri tre casi. Tre colleghe, Antonella Napoli, Tea Sisto e Silvia Dipinto, diventate oggetto sui social di insulti e minacce razziste per aver stigmatizzato un manifesto dal contenuto chiaramente razzista di Forza Nuova o per aver intervistato l’imam di Bari, all’interno della moschea, indossando il velo esattamente come tutte le altre donne, comprese le rappresentanti delle istituzioni cittadine che hanno partecipato alla cerimonia religiosa”. Per il sindacato dei giornalisti, “la solidarietà alle colleghe non basta. Occorre andare oltre e uscire una volta per tutte da un malinteso. Quello secondo il quale il web e i social sono i luoghi dell’impunità. Si può essere o no d’accordo sul contento di un articolo, il lavoro giornalistico è sicuramente criticabile, ma gli insulti, le minacce, il linguaggio sessista non hanno niente a che vedere con la libertà di manifestare il proprio pensiero, garantita dall’articolo 21 della Costituzione”.