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Glow: Netflix colpisce ancora (con una bella serie femminista)

Pubblicato da: Francesca Romana Torre | Dom, 25 Giugno 2017 - 15:45

Il lancio di Glow, la nuova serie di punta della piattaforma di streaming più famosa del mondo, si preannunciava già piuttosto interessante: attrici dai volti noti, un team creativo ben consolidato e un soggetto divertente e originale, in cui inserirci – senza troppo appesantire la trama – una discreta dose di dramma.

GLOW

Alison Brie è Ruth, uno dei personaggi principali della serie

La firma è quella Liz Flahive e Carly Mensch, già autrici di serie di culto come Homeland e Orange is the new black; insieme a loro, le creatrici di Oitnb Jenji Kohan e Tara Herrmann qui nelle vesti di produttrici esecutive. Tra le protagoniste, altre star del piccolo schermo, quali la bravissima (e finalmente valorizzata) Alison Brie (vista in Mad Men e in Community) e Betty Gilpin (Nurse Jackie), accompagnate da un gruppo eccezionale di personaggi secondari, tanti tipi diversi di donne – forse un po’ stereotipati – ma assolutamente gradevoli. Un cast quasi esclusivamente femminile, a cui si aggiunge il ruolo-chiave del regista Sam Sylvia, affidato a Marc Maron.

Glow (Gorgeus Ladies of Wrestling) racconta i retroscena (inventati) dello show nato nella palestra di Jackie Stallone e andato in onda in America tra il 1986 e il 1990, portando il wrestling femminile all’attenzione del pubblico nazionale.
Una delle chiavi di lettura più stimolanti della serie, è l’uso del wrestling come spunto per affrontare la condizione femminile che – nonostante la rivoluzione sessuale degli anni Settanta – continuava (e continua) e mostrare gravi limiti. Attraverso il personaggio di Ruth (Brie), viviamo la frustrazione di una ragazza che si muove nel duro mondo dello spettacolo, pronto a fagocitare e sputare via tutti coloro che non soddisfano, o smettono di soddisfare, determinati standard. Come se non bastasse, pur nella sua conclamata mediocrità, la protagonista si ritrova a fare i conti con lo sguardo degli uomini (e delle donne), che la considerano esclusivamente come oggetto sessuale. Esemplare, da questo punto di vista, il monologo con cui Ruth apre la serie, un vero e proprio ribaltamento dei ruoli e dei canoni che, proprio in virtù del suo fallimento, diventa il manifesto di tutta la storia.

glow

Davanti alla ghettizzazione di sé e delle sue colleghe, Ruth accetta di buon grado l’idea di abbandonare i drammi di Strindberg e di indossare un costume luccicante per lanciarsi in improbabili scontri su un ring televisivo. Nel corso delle puntate, infatti, risulta chiaro che tutte le future signore del wrestling hanno un forte bisogno di emanciparsi e di dimostrare al mondo – e sé stesse – di averne abbastanza di essere solo figlie, madri, amanti e comparse. Per una volta, l’autoaffermazione non passa attraverso lo scimmiottamento di modelli maschili, né da una sessualità ipertrofica: con un po’ di ironia, la rivoluzione dei costumi può passare anche da un po’ di sana e ludica violenza.

Con Glow, Netflix porta a casa un altro grande risultato, grazie all’alta qualità della scrittura, della regia e della recitazione, in grado di creare immediatamente un legame importante col pubblico, maschile o femminile che sia. Stilisticamente parlando, si conferma una certa predisposizione per la fine degli anni Ottanta, elemento più o meno presente in alcune delle sue serie più riuscite. Dai riferimenti cinematografici di Stranger Things, all’importante colonna sonora di 13 reasons why, sembrerebbe che la piattaforma sia particolarmente propensa a rilanciare il trend dei capelli cotonati e degli scaldamuscoli da palestra. Da questo punto di vista, Glow rappresenta l’apice dell’operazione, calando lo spettatore in una ricostruzione certosina delle atmosfere di quegli anni, grazie al make up, alle acconciature, ai costumi, alle droghe e a tutti quegli elementi che ci aspetteremmo da una rappresentazione manierata del decennio.

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