Tremate, tremate: Frank Underwood è tornato. O, molto più probabilmente, non se n’è mai andato. Dalla fine della quarta stagione, con la terrificante dichiarazione di guerra da parte del Presidente e della First Lady al 30 maggio 2017 – data di distribuzione della quinta stagione – la Storia è andata avanti, presentando risvolti altrettanto inquietanti. Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti d’America, il conflitto internazionale si è decisamente acuito, l’Europa e il Medioriente sono diventati teatri di ulteriori attentati e l’opinione pubblica è sempre più terrorizzata: ancora una volta, la realtà ha superato la fantasia.
Eppure Frank (Kevin Spacey) e Claire (Robin Wright) hanno rapidamente capito come cavalcare l’impervia onda dei tempi, riprendendo – nella première – i capisaldi della politica contemporanea. Torniamo alla storia, nata dalla penna di Beau Willimon, dei due presidenti, finalmente fermi in una coalizione indissolubile, grazie a un rinnovato sodalizio politico e – in qualche modo – sentimentale: la puntata si apre con una situazione di minaccia generalizzata, tanto da parte del Washington Herald e della sua crociata antipresidenziale quanto di parte dell’opinione pubblica, che sconvolta dal recente omicidio islamista, inizia a vedere in Underwood una figura a tinte fosche. Ancora, Will Conway il candidato repubblicato interpretato da Joel Kinnaman vede calare la sua popolarità davanti al gioco immenso del Presidente, restando in secondo piano nel corso di tutto l’episodio. Viceversa, la minaccia è concreta e pericolosa anche da parte di Underwood che, approfittando del terrore da lui stesso innescato, lancia i suoi dadi, sempre più aggressivo e arrogante.
Una new entry sembra promettere interessanti sviluppi narrativi: il nuovo assunto dall’Herald di Tom Hammerschmidt (Boris McGiver), un reporter in grado di “far parlare chiunque, dopo le otto di sera con un drink”. Accanto a lui, tutto il cast storico – o, perlomeno, i sopravvissuti alla furia Underwood – sempre più schiacciato attorno alla figura dei due protagonisti, almeno per il momento. Contestati dalle masse, e dalla comunità islamica osteggiata dalla nuova campagna bellica, i due coniugi sembrano resistere con la loro ormai iconica tenacia, alle sfide che l’imminente prova del voto sta loro sottoponendo. Di certo, la loro popolarità è in forte calo: vediamo persino un attacco alla First Lady, sfregiata nel suo impeccabile e candido tailleur da una simbolica macchia nera.
Le coscienze dei personaggi iniziano a mostrare il loro volto più tetro, esibendo il ghigno dei dittatori e i muscoli di chi si prepara a un duro braccio di ferro. Come in una tragedia shakesperiana, la Storia è riscritta con toni sontuosi e raffinati, conservando, tuttavia, il suo cuore nero e gonfio di violenza. Per questo l’eroe oscuro Underwood piace, per essere il simbolo di quanto più sporco ci sia nella politica mondiale e per esserlo senza alcun ritegno. House of cards è esattamente quello di cui il pubblico ha bisogno: un manuale di realpolik, che lo libera dall’illusione della democrazia. Con la speranza che l’intera stagione non tradisca questo compito, non resta che seguire con attenzione le prossime mosse del Presidente e rivolgere lo sguardo lontano dal Pc, verso i nostri Underwood che – con molta meno classe – detengono le sorti di tutta l’umanità.