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Superlega: la voglia di crescere non può essere solo dei club

Pubblicato da: Dott.ssa Valentina Porzia | Mer, 31 Maggio 2017 - 10:45

Dopo la legge n. 91/81, le Federazioni Sportive che hanno richiesto il riconoscimento come “professionistiche” erano di sei discipline diverse. Ad oggi, sono rimaste solo in quattro e sono : il calcio, il golf, il basket (solo nella categoria A1) e il ciclismo. Ne deriva che la pallavolo è uno sport non professionistico e le associazioni che sono affiliate alla Federazione Italiana di riferimento (FIPAV) sono società sportive dilettantistiche(S.S.D), ovvero in qualche caso enti no profit. Tre anni fa, è nata la nuova Serie A1 di volley maschile, la SuperLega. Gli auspici erano quelli di creare un campionato italiano di altissimo livello che acuisse l’interesse del pubblico e degli sponsor, aumentando anche le entrate per tutte le società partecipanti.

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La permanenza in SuperLega prevedeva il rispetto di determinati requisiti, sportivi e non, tra i quali la richiesta formale di giocare in palazzetti con almeno 3000 posti nelle successive tre stagioni. Passati i tre anni, quattro formazioni su quattordici che hanno disputato il campionato 2016/2017 non sono state in grado di adattarsi alle richieste di cui al modificato art. 14 del “Regolamento Gare” FIPAV. Molfetta, Latina, Vibo Valentia e Sora hanno a disposizione delle strutture con circa 2000 posti sugli spalti.

Non diversa è la situazione del Castellana Grotte giunto in SuperLega, dopo i play off di Serie A2.  Nei giorni scorsi, il Presidente della squadra molfettese ha comunicato che la squadra non parteciperà al prossimo campionato. Il patron calabrese, sul piede di guerra, ha rilasciato più di una dichiarazione contraria alla regola sulla capienza che esclude dal massimo campionato tutto il Sud, da Perugia in giù.

Il citato articolo 14, modificato recentemente e titolato “Campo di Gara”, prevede che le società abbiano «l’obbligo di disputare le gare in un campo nell’ambito della provincia di appartenenza o, per comprovata carenza di impianti, in comuni limitrofi di altra provincia previa autorizzazione dell’organismo competente all’organizzazione del Campionato interessato». La stessa norma specifica che «nel caso di società che vogliano disputare le gare di un determinato Campionato in un comune della provincia contigua a quella di appartenenza non per carenza di impianti ma per loro scelta, dovranno allegare alla relativa richiesta il parere dell’organo competente all’organizzazione del Campionato interessato, dei due Comitati Provinciali interessati e del proprio Comitato Regionale o dei due Comitati Regionali interessati nel caso la provincia contigua appartenga ad altra Regione. Nel caso di parere negativo anche di uno solo dei soggetti suddetti, la decisione finale spetta al Consiglio Federale». A questa norma si aggiungono direttive riguardo alle misure inderogabili stabilite dalla FIPAV per le zone di rispetto. Per i campionati di serie A1 e A2, le zona di rispetto minime, ovvero gli spazi immediatamente vicini al campo di gioco, sono le seguenti: mt 3 dalle linee laterali e mt 5 dalle linee di fondo. Entro dette zone non deve collocarsi alcun ostacolo o ingombro fino all’altezza di mt. 9 dal suolo per la serie A1 e 8 mt per la serie A2. La FIPAV, inoltre, interviene prevedendo che i supporti pubblicitari a bordo campo debbano essere disposti seguendo fedelmente la disposizione riprodotta sul modulo di omologazione del campo e gli adesivi sul campo di gioco o sulla zona i rispetto debbano essere disposti secondo le modalità previste dalla Lega Pallavolo.

Tutti gli impianti, infatti, devono essere oggetto di omologa da parte di incaricati della Lega medesima prima della conclusione della procedura di ammissione al campionato della squadra. Tale sopralluogo deve verificare la sussistenza delle caratteristiche strutturali di idoneità del campo, ovvero La Lega può accertare la idoneità del campo o disporre la realizzazione di lavori di adeguamento o l’adozione di impianti di gioco idonei entro la data della definitiva omologazione. Leggendo quanto scritto sopra, è chiaro come, per il prossimo campionato di Superlega, l’omologa debba verificare che l’impianto abbia una capienza di almeno 3000 posti.  Succede quindi che mentre il mondo della pallacanestro chiede per la prossima stagione play off impianti da almeno 5.000 posti, in prospettiva di un 2018/19 in cui la stessa capienza sarà richiesta per l’intero campionato,  alcuni club di pallavolo non sono in grado di recepire il nuovo regolamento del volley. Il Mondo della pallavolo è diviso in due parti. Da un lato, c’è chi ipotizza la crescita, riuscendo  a lavorare in prospettiva e a prevedere un progetto a medio/lungo termine e dall’altro chi pur avendo chiari i target della Superlega, “preferisce” mantenere basse le aspettative e le pretese o difficilmente riesce a spingersi oltre le stesse.  In conformità alla deroga prevista dal regolamento, alcune società hanno lasciato la propria sede, utilizzando palazzetti in province limitrofe per soddisfare le esigenze del movimento. Dunque, nel rispetto di chi segue le regole e dei  molti club che hanno lavorato per migliorare le proprie strutture, chi non ha un impianto da 3000 posti non deve e non può minare l’intero campionato.

Cedere alle regole della Federazione significa, infatti, pensare che la pallavolo possa smettere di essere un gioco domenicale e possa diventare una vera e propria impresa, in grado di lavorare per aumentare il numero dei suoi tifosi e gli introiti derivanti dagli sponsor.

La logica oggi è quella del voler profitto. Inevitabilmente, di fronte a un pubblico che cresce e a uno spettacolo che attira sempre più persone,  le entrate per i club aumentano e l’adeguare i palazzetti non deve essere visto come un affronto ma come una possibilità di allargare sempre di più il pubblico. Magari investendo di più in promozione e facendo qualche sacrificio. Opportunamente, è utile ricordare che come evidenziato all’inizio, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, le squadre di pallavolo sono società dilettantistiche ma che, al tempo stesso, dovrebbero smettere di pensare al patron sponsor che investe nello sport “a perdere”. Fino a qualche tempo fa, il mondo del dilettantismo si reggeva soprattutto sul volontariato, la passione dei piccoli imprenditori, il sostegno del pubblico. Oggi, gli enti locali non pagano più le spese di gestione degli impianti e, con la crisi, in pochi possono permettersi di buttare soldi a fondo perduto in un’attività sportiva. Gli unici a poterlo fare sono le multinazionali, le quali però diversamente da quanto accade in questo mondo sportivo fatto di contratti di gestioni frammentati e a breve termine, sono abituate a fare piani economici di più anni. Ne consegue che i due mondi, a meno che gli enti pubblici non diano spazi e permessi per nuove edificazioni private, col metodo dell’Unipol Arena di Bologna o del Palapanini di Modena, non potranno mai incontrarsi e molti club saranno necessariamente chiamati a mettere i piedi per terra e a rinunciare a crescere. Questa mancanza del professionismo nella pallavolo unita alla mancanza di contratti di gestione degli impianti a medio e lungo termine sono senza dubbio i motivi dell’incapacità di alcuni club a spingersi oltre il piccolo orticello che li circonda.

Nella nostra terra di Puglia abbiamo tre impianti con poco più di 3000 posti: Palamazzola di Taranto, Pentasuglia di Brindisi e Palaflorio di Bari. Nessuno di loro è utile alla squadra a rilevanza nazionale della propria cittadina. Tuttavia, tenendo conto delle direttive della FIPAV, potevamo avere una casa per l’Exprivia Molfetta così come abbiamo, fuori dal comune di Castellana Grotte, due possibilità di impianto per la BCC Castellana.

Resta invece un problema la collocazione  per l’Enel Brindisi.

Chissà che chi parla di crescita dei club non riesca a mettere gli stessi nelle condizioni di poter crescere. Davvero.

 

 

 

 

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