“Mi iscrivo alla specialistica? Parto per fare qualcosa di diverso? Torno a casa dei miei e cerco un lavoro?”. Quante domande affollano la testa di un neolaureato, specialmente nel sud Italia. Le risposte che ognuno si dà sono tante, diverse fra loro, e danno vita a infinite storie: oggi vi raccontiamo quella di Simona Curci, laureatasi sei anni fa in lingue all’Università Aldo Moro di Bari e partita per la Spagna tramite il progetto “Leonardo” (una borsa di studio per i tirocini all’estero). “Una volta tornata in Italia – aggiunge Simona – ho ricomprato un biglietto di sola andata per Siviglia, sentivo che sarebbe stato il posto ideale per me”.
Com’è la sua vita in Spagna?
Durante i miei sei anni in Spagna ho fatto un po’ di tutto, principalmente lavori nell’ambito del turismo e della ristorazione. Negli ultimi mesi ho partecipato al progetto di un libro illustrato che si è potuto pubblicare tramite crowdfunding che ho creato con Alberto Durán García, il mio ragazzo.
Che differenze ci sono, secondo lei, rispetto a Bari?
Il motivo principale per il quale ho deciso di vivere qui è l’aria positiva che si respira nonostante la crisi. Considera che siamo nel sud della Spagna e anche qui il lavoro non abbonda, però la gente ha sempre il sorriso sulle labbra, cerca sempre di reinventarsi per riuscire a sbarcare il lunario, non si è rassegnata.
Nella zona in cui vivo, inoltre, il razzismo e l’omofobia sono bassissimi e c’è arte ovunque: cammini per strada e c’è gente che suona flamenco, mostre quasi sempre gratis e strade piene di gente.
Com’è nata l’idea del suo libro, “Ma che dici“?
L’idea del libro è nata inizialmente come un gioco. Io e Alber parliamo tra di noi sia italiano che spagnolo e spesso si tende a tradurre letteralmente espressioni e modi di dire che nell’altra lingua non hanno senso. Così abbiamo deciso di fare una buona ricerca e abbiamo scelto quindici espressioni per ognuna delle due lingue, espressioni che nell’altra lingua non hanno senso e abbiamo aggiunto delle belle illustrazioni. Per poter realizzare fisicamente il libro abbiamo lanciato il crowdfunding su una piattaforma spagnola e in questa maniera abbiamo potuto pagare la stampa e le spedizioni dei libri. Il prossimo passo sarà proporlo a casa editrici o continuare con l’autoproduzione perché ci piacerebbe che il libro arrivasse a quanta più gente possibile.
Si sente parte della “generazione erasmus”? Andarsene è un piacere o una necessità?
Decisamente si. La mia prima volta fuori dall’Italia è stata tramite il progetto Erasmus a Lisbona e dopo questa esperienza la voglia di viaggiare e conoscere nuove culture è aumentata tantissimo. All’inizio sono andata via per piacere, ma con il tempo è diventata una necessità.
Che consigli darebbe a chi vuole fare un’esperienza simile alla sua?
Partite! Fate tutte le esperienze che potete fare. Per tornare a casa c’è sempre tempo e la possibilità di farlo, però tornereste arricchiti da nuove avventure e culture. Le nostre radici ci ricorderanno sempre chi siamo, ma se non ci si trova bene in un luogo o semplicemente si ha voglia di vedere altri posti, si può fare.
Tornerebbe a vivere in Italia?
Sinceramente no. La mia vita ormai è qui, ho il mio lavoro, i miei amici e il mio ragazzo. E, purtroppo, ogni volta che leggo notizie che arrivano dall’Italia mi convinco sempre di più che questa è la decisione migliore per essere felice. Ovviamente tutto ciò ha un prezzo, soprattutto quello di stare lontano dalla mia famiglia, che amo. Però non vedo un futuro per me in Italia.