“Non sono, come si dice, un addetto ai lavori […] pigliate dunque questo giudizio per quello che vale. A me i cartelloni ed i disegni di Sepo fanno compagnia. Riesce a tradurre cioccolate, brodi sintetici, scarpe, dentifrici, in favole […]. Le sue sardine fuggono dalla scatola verso un mare azzurro. I suoi vitellini, con un colpo da mago, si trasformano, sbigottiti, in una scodella fumante. I fiammiferi ‘Casque d’or’ riscaldano una mano che fa venire in mente le fiabe di Andersen. Amo l’umiltà di Sepo: si è messo a servizio della gente come facevano i vecchi e grandi pittori, che aprivano bottega sulla strada; non ha avuto clienti da ritrarre, che so, le nobili famiglie di Goya, ma le S.p.A.. Ha esposto per anni su tutte le cantonate del mondo. Ha regalato, in ogni tavola, una sproporzionata quantità di fantasia. Con molto meno talento, e assai più scarse invenzioni, altri avrebbero campato di rendita. Gli voglio bene: con le sue linee e con i suoi colori racconta nei manifesti la nostra vita di ogni giorno. Bisogni e follie. E’ un artista che un po’ si vergogna, e si nasconde dietro il mestiere […].”
Sono parole di Enzo Biagi scritte per descrivere la straordinaria arte pubblicitaria dell’amico Severo Pozzati. Parole che disegnano, più in generale, un’epoca in cui i cartelloni della pubblicità entravano nella case della gente e la facevano sorridere grazie all’ironia e alla semplicità del messaggio, lasciando fuori della porta il peso spesso insopportabile della persuasione. Non importa se il prodotto è veramente servito, se ha dimostrato le sue qualità. Di sicuro ci sarà da conservare una scatola, un manifesto, un ventaglio. Sembra quasi che il mondo del manifesto e del gadget ebbe più valore del prodotto stesso. Il tutto con la complicità delle stesse aziende produttrici. Era un tempo in cui non c’era ancora l’ossessione per il consumismo, e per quell’inutile ripetitività del gesto di acquistare. Ma questo, purtroppo, non tarderà ad arrivare.