La fortuna aiuta gli audaci. Questo antico detto sembra essere particolarmente adatto alla storia di Francesco Marocco, architetto e scrittore di successo, nato a Bari nel 1976 volato a New York nel 2014. “È sempre l’occasione che indirizza una scelta di vita – esordisce lo scrittore, autore di due romanzi, “Mai innamorarsi ad Agosto” (2012) e “Cronache della discordia“, pubblicato da Mondadori il 14 febbraio 2017 – Le condizioni lavorative per un architetto ricercatore in Italia non erano più sostenibili, mentre una vacanza estiva a New York nel 2014 mi ha aperto una possibilità inattesa che si è trasformata in una straordinaria avventura. New York ti insegna che non è mai tardi per ricominciare, se hai voglia di metterti in gioco”.
Com’è la sua vita a New York?
I ritmi di New York sono frenetici e devi sapere accordarti alla sua velocità. La concorrenza è spietata e nessuno ti aspetta se perdi il passo. Gli inizi sono drammatici. È una città che ti chiede tanto ma hai la certezza che ti restituirà altrettanto e che le tue condizioni di vita miglioreranno mese dopo mese. Altra lezione che ti dà la città: il vero limite non è quello che puoi, ma quello che vuoi. Io cerco di difendere la mia organizzazione dei tempi. Dal lunedì al venerdì lavoro come architetto. Nel weekend indosso i vestiti dello scrittore e provo a portare avanti le mie storie.
In che modo questo cambio di continente ha influenzato la sua carriera di architetto e scrittore?
Certamente una simile densità di impegni ha molto ridotto la mia quantità di tempo libero, di sano e pigrissimo cazzeggio a cui ero molto affezionato. Ma mi ha anche aiutato a portare a termine le imprese, nelle quali mi cimento con maggiore efficienza. La quantità di stimoli che New York ti mette sotto gli occhi, poi, la diversità della gente che ti circonda, la fusione delle culture in cui non esiste la distinzione tra ciò che è “normale” rispetto a ciò che non lo è, sono tutti fattori di straordinario arricchimento personale che si riflettono in quello che fai.
Nei suoi romanzi, c’è molta “italianità”. Il suo sguardo sul Paese è cambiato grazie alla distanza?
È vero che, pur essendo stato scritto a New York, il mio romanzo “Cronache della discordia”, tratta la storia di due paesini di un sud Italia profondo e immaginario. Forse semplicemente la distanza aiuta a veder meglio. In fin dei conti, poi, è un po’ anche il romanzo del distacco sempre struggente e sofferto, di chi, pur indubbiamente partito per un’avventura e una terra migliori di quelle che ha lasciato, soffre al pensiero di non aver avuto nel proprio paese le stesse occasioni che l’America gli ha dato. Si tratta di un romanzo d’amore a vari livelli, tra cui certamente anche quello per il nostro Paese saccheggiato e maltrattato.
Cosa consiglieresti a chi vuole fare un’esperienza simile alla sua?
Di non pensare mai che sia troppo tardi per regalarsi un nuovo inizio. Ci vuole coraggio, è vero e i primi tempi sono durissimi, ma bisogna innanzitutto avere una grande determinazione libera dalla paura di lanciarsi. Da un punto di vista pratico, riuscire a lavorare negli Stati Uniti non è facilissimo, in termini di carte e documenti. Quello che consiglio a chi volesse fare un’esperienza del genere è quella di farsi un primo periodo di esplorazione di novanta giorni, per testare il proprio feeling con New York e per cercare di iniziare a costruire una propria rete di contatti dai quali far scaturire un’offerta di lavoro, necessaria per richiedere un visto temporaneo per gli USA. If you want, you can.