L’errore è pensare che il fumetto sia un media rigido, destinato solo ad alcune categorie di lettori o prodotto solo da certi autori, chiusi nei loro studi tra tavole e inchiostri. L’esperienza – tutta barese – di Fumetti da dentro ci insegna quanto il racconto per immagini possa adattarsi alle più diverse esigenze di socialità e comunicazione: nelle trenta pagine dell’ultima edizione, si alternano amori sognati e miti musicali, fughe in macchine rubate e battute in dialetto, tutti nati dalla fantasia e dall’esperienza diretta di ragazzi “difficili”. Da dieci anni l’associazione Kaleidos si impegna a diffondere la cultura anche nelle situazioni di disagio, prendendo spunto e destinando i suoi prodotti a tutti: dai semplici passanti alle famiglie del Cep, dai ragazzi con precedenti di alcol e droghe fino ai casi di delinquenza minorile.
Con questo spirito, Kaleidos è entrata per quattro anni nel carcere minorile “Fornelli” di Bari dando vita a tre fumetti, realizzati durante un laboratorio curato dall’educatrice Ilaria Schino, dal fumettista Disney Giuseppe Sansone e dall’illustratrice e mediatrice Anna Di Maggio, coordinati dalla presidente dell’associazione, Anna Pinto. “Da sempre volevamo portare il progetto nel carcere minorile – racconta Anna Di Maggio – e ce l’abbiamo fatta quando il Ministero è riuscito a sostenere le spese di stampa, distribuzione e dei materiali necessarie alla sua realizzazione”. Questa possibilità, purtroppo, non è stata rinnovata per il nuovo anno il progetto è, momentaneamente, bloccato.
Fumetti da dentro
I fumetti realizzati all’interno del Fornelli si mostrano al pubblico senza censure, partendo dalle storie inventate dai ragazzi, di un’età variabile tra i 15 e i 24 anni. “Alcuni di loro uscivano prima di terminare il loro racconto, alcuni sono arrivati a laboratorio iniziato – continua la Di Maggio – ma abbiamo tentato di catturare da tutti spunti, schizzi, sceneggiature, frasi, battute. I disegni sono fatti tutti da loro”. L’intervento degli educatori è stato discreto ma fondamentale. Oltre alle lezioni di fumetto del professionista Giuseppe Sansone, fondamentale è stata la mediazione degli educatori, senza la quale sarebbe stato impossibile entrare in contatto con i ragazzi.
“l fumetto dà la possibilità di raccontare storie, che hanno un inizio, un corpo e una fine – aggiunge Anna Di Maggio – e questo è importante perché spesso i ragazzi chiusi in carcere non hanno la concezione di futuro ben chiara: il fumetto fa capire che ogni scelta comporta delle conseguenze che, insieme, contribuiscono a raccontare una storia. Diventa, così, una metafora della vita”.
Importante è stato anche lo stimolo fornito dall’associazione a “lavorare di fantasia”. “Alcuni, i più furbi – ci spiega la mediatrice – volevano trasmettere all’esterno un’immagine di bravi ragazzi, per colpire e influenzare il giudice con una loro versione del reato commesso. Abbiamo, per questo, volutamente evitato che raccontassero esattamente le loro storie e che fossero riconoscibili dal fumetto”.
“Certo è difficile far cambiare loro idea sul proprio futuro – conclude – quasi sempre del fumetto, dell’arte a loro interessa poco. Però sicuramente è stata un’occasione di scambio, il fumetto è stato una finestra per far capire che c’è altro al di là delle loro vite e del loro ambiente”.