Per una frattura al femore è preferibile l’ospedale Di Venere, per interventi d’urgenza per un infarto o di bypass aortocoronarico è consigliabile rivolgersi al Policlinico, in caso d’asportazione della cistifellea è statisticamente più conveniente il ricovero nella clinica Santa Maria. Le strutture ospedaliere di Bari e provincia confermano l’andamento disomogeneo nei diversi settori della sanità pubblica in linea con buona parte del Meridione. Secondo i risultati del programma nazionale esiti 2016 (Pne) – presentati nell’Istituto Oncologico di Bari – in Puglia si alternano risultati eccellenti a valutazioni basse perfino nello stesso ospedale.
Non è possibile tracciare un resoconto complessivo sullo “stato di salute” sul diritto sancito dall’articolo 32 della Costituzione, ma l’analisi scientifica del Pne, giunta alla quinta edizione, fornisce 19 indicatori a livello nazionale per comparare l’efficacia, la sicurezza, l’efficienza e la qualità delle cure prodotte. Ad esempio, in caso di interventi chirurgici per frattura del femore effettuati entro due giorni – in Puglia si è passati dal 14 per cento del 2008 al 41 per cento del 2015 – è stato assegnato il livello qualitativo “molto basso” all’ospedale San Paolo. Mentre con il 90 per cento delle convalescenze “lampo” a guidare la particolare graduatoria è l’ospedale Di Venere.
Secondo lo studio, il Policlinico di Bari offre prestazioni positive per gli interventi di by pass miocardico: la mortalità a 30 giorni dall’operazione riguarda solo il 2 per cento dei pazienti, al di sotto della soglia nazionale. Nello stesso settore, la clinica Mater Dei ottiene una valutazione negativa (5 per cento). Nel caso degli interventi di colecistectomia laparoscopica la degenza post operatoria dovrebbe essere inferiore ai tre giorni: la clinica Santa Maria e il Policlinico rispettano il parametro e fanno meglio della media italiana, la Mater Dei ha invece tempistiche di degenza più lunghe. La disuguaglianza è anche territoriale nella stessa regione. Pur pagando le stesse tasse, i cittadini pugliesi usufruiscono in maniera differente del servizio delle Asl. In base all’area di residenza, i degenti trattati entro due giorni dal ricovero a causa di un infarto miocardico sono quasi il 60 per cento a Brindisi, segue l’Asl di Bari con quasi il 50 per cento, chiude la Bat e la provincia di Foggia (solo un cittadino su cinque). Evidente il divario con la media europea dell’80 per cento.
Altri dati interessano il surplus di interventi inutili o dannosi come nel caso dei parti cesari. A fronte di una media al nord Italia del 20 per cento, in Puglia il cesareo sembra essere diventata prassi: nel 2015 è stata raggiunta la quota del 34 per cento (un buon risultato se paragonato al 72 per cento del 2008, ma comunque elevato). In questo caso è il Di Venere ad alzare l’asticella con il 37 per cento, una donna su tre.