Oggi abbiamo voluto fare parlare le donne. Piccole storie di vita quotidiana: dalle molestie sui bus ad una città non ancora a misura di famiglia, fino alla paura di tornare a casa da sole o di crescere dei figli senza un compagno. Ecco alcune storie.
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Rosanna Volpe: “Non aiuta vivere in una città non a misura di bambini”
“Mi sono interrogata per anni sul senso della Festa della donna e devo – ammettere – che anche oggi che sono anche mamma sono convinta che non se ne riesca a cogliere il vero senso perché alcune riflessioni – e quindi azioni – andrebbero programmate ogni giorno.
Io non mi sono mai sentita discriminata sul lavoro in quanto donna. Ho svolto a lungo un lavoro da fotoreporter, per strada – di giorno e di notte – e onestamente non mi sono mai sentita a disagio – o trattata diversamente dai miei colleghi – seppur fossero abituati a lavorare principalmente con colleghi dello stesso sesso.
Le donne dovrebbero innanzitutto capire e accettare di essere diverse. Lo sono in tutto: nella gestione della famiglia e del lavoro. Lo sono quando diventano genitori. Lo sono nei continui sensi di colpa: se non lavorano perché non si rendono conto che gestire una casa e una famiglia richiede tempo e sacrifici, ne hanno quando lavorano perché temono di dedicare troppo poco tempo a marito e figli. Le donne “producono” sensi di colpa continuamente mentre cercano di portare avanti se stesse.
Certo non ci aiuta una città che non è decisamente a dimensione di bambini e quindi di mamme. Ancor meno di donne. Perché sino a quando non ci saranno strutture che possano aiutare le mamme a lavorare senza impiegare metà dello stipendio tra baby sitter e asili a tempo pieno, sarà assolutamente inutile portare i sostantivi al femminile. Non mi sento – da donna – più rispettata se i sostantivi vengono portati tutti al femminile, non mi sentirò più rispettata sino a quando la mia vita – divisa tra mamma e giornalista – venga resa più semplice da una crescita civile che in questa città stenta a vedersi”.
Francesca Torre: “Quando il bus è affollato, continue molestie”
“Il paradosso dei mezzi pubblici: ci si sente più al sicuro quando si prende l’ultima corsa e l’autobus è vuoto, che nelle ore di punta. Essere una donna alle 8 di mattina su una linea urbana che va in centro non è affatto facile perché, spesso, nella calca dell’ora di punta, c’è chi approfitta della confusione per allungare le mani. Prendo l’autobus da quando, ragazzina, andavo a scuola e, da fruitrice continuativa, posso dire di aver collezionato un numero invidiabile di piccole, fastidiose molestie che dubito siano state riservate anche ai passeggeri uomini. Diversamente da quanto ci si aspetterebbe – o, perlomeno rispetto a quanto molta vox populi tende a denunciare – non mai subito avances di nessun tipo da migranti o da senza fissa dimora: coloro dai quali ho imparato a guardarmi sono proprio “i bravi signori”, i nostri concittadini, che – forse nascosti dietro il ruolo di “insospettabili” – hanno esasperato il contatto fisico durante molti viaggi.
Capita spesso che si approfitti di una frenata, oppure di un passaggio stretto tra i sedili o che – peggio, ma capita anche questo – che alcuni uomini, una volta assicuratisi di essere visti solo dalla “vittima designata”, si esibiscano in carezze solitarie. Gli autobus, spaccato mobile della società cittadina, diventano, allora, lo squallido teatro di queste e altre manifestazioni, taciute nella maggior parte dei casi, per sdegno, superiorità o umiliazione. Nel disagio generale, ci sono anche cenni di bellezza, nel cameratismo femminile che dà vita a insospettabili parentesi di solidarietà, specialmente nei confronti delle ragazze più giovani che sono spesso protette dalle più grandi, che le invitano a sedersi accanto a loro piuttosto che vicino a un uomo sospetto o apertamente molesto”.
Silvia Russo Frattasi: “Mamma single, tanta paura all’inizio”
“Ho sempre pensato che diventare mamma mi avrebbe reso felice. Credevo che sarebbe stata la più bella sensazione provata. Mi sbagliavo. Nel preciso istante in cui prendi tuo figlio fra le mani, ti rendi conto che non avevi la più pallida idea di cosa fosse la felicità. Non avevi la più pallida idea di cosa fosse l’amore. Sono Silvia, mamma innamorata di Mariolino e Ale. Non ho avuto un percorso di vita da mamma semplice. Sono rimasta quasi da subito sola e le responsabilità ti schiacciano, ma le soddisfazioni e la gioia, ti fanno superare tutto. Avevo paura perché era tutto nuovo. Eppure, non so perché, sapevo sempre come muovere le mani su quei corpicini piccoli piccoli. Sai come fare. Come se fosse tutto scritto dentro di te. Essere una mamma lavoratrice è molto complicato, ma per fortuna i primi anni di vita, fino alla scuola elementare, li ho passati a stretto contatto con loro. Oggi sono anche una “Seconda mamma” perché non riesco a pensare alla felicità dei miei bambini, se so che altri, invece, non hanno nulla. Mi impegno affinché loro crescano con un buon esempio e spero, seppur in parte, di esserci riuscita. Un giorno mio figlio Alessandro tornò da scuola con un compito fatto in classe. Due domande. Due risposte. C’è qualcosa che sai fare in modo speciale? C’è qualcuno che ammiri particolarmente? “Io so fare una cosa speciale: essere FELICE” “Io ammiro la mia Mamma: lei sa fare tutto e non si stanca mai”. Ecco, il mio essere MAMMA, il mio mondo in due risposte”.
Anna Maria Lupo: “La paura di tornare a casa da sole”
“Ero una ragazzetta, vivevo in un quartiere di Bari che ancora oggi fa parlare di sé. Mi recai a comprare il latte, come la mamma mi aveva detto e, con sorpresa intravidi un uomo in abito scuro che attendeva il mio ritorno nel portone di casa. La ragazzetta diventata mamma ha dovuto ascoltare dalle proprie figlie le stesse disavventure. Le distanze, da allora, sono aumentate nella città con strade buie, isolate e non collegate per raggiungere la scuola, un centro sportivo o una chiesa, quindi, per evitare brutti incontri la donna è costretta ad accompagnare i propri figli. “La donna”: mamma, nonna, figlia dovrà sempre fare i conti con una città che non si misura con le sue necessità”.