Il sottosegretario al Lavoro Massimo Cassano difende lo strumento “voucher” contro le istanze “medioevali” di alcuni sindacati, e si domanda: “come si pagano i lavori brevi?”. Il politico di Area Popolare difende dunque l’impianto riformista del Jobs Act e dei voucher, pur non negando la presenza di “pericolosi abusi”.
“I voucher – scrive in una nota Cassano – sono un fenomeno che si presta ad alcuni pericolosi abusi, ma che non rappresenta certo la maggiore forma di precarizzazione per il mercato del lavoro. Una ricerca dell’Inps lo spiega benissimo: anche i voucher possono essere aboliti. Ma ciò che non può essere abolito è il problema sottostante: come si pagano le attività di breve durata”.
“Sono contro la linea folle e intrisa di obsoleta ideologia che si allinea alle richieste prive di fondamento di alcune organizzazioni sindacali. Se ci sono abusi – aggiunge il senatore di Ncd – si facciano controlli e si puniscano i colpevoli e del resto un decreto che corregge alcune disposizioni del Jobs Act e rende tracciabili i voucher esiste già”.
Cassano cita il giuslavorista Pietro Ichino “che ritiene irragionevole imporre a un datore di lavoro l’obbligo di compiere tutti i non semplici adempimenti burocratici previsti per i rapporto di lavoro ordinari, anche per prestazioni occasionali di breve o brevissima durata. L’eliminazione di questa forma semplice di pagamento porterà soltanto a una nuova fase di crescita del lavoro nero”.
Colpire l’abuso di voucher, non lo strumento
“Ogni qualvolta in Italia si cerca di riformare qualcosa entrano in azione le sirene di chi, in realtà, ha contribuito allo sfascio occupazionale che ha colpito il paese negli ultimi venti anni, anzi di quello stesso sfascio si è alimentato. Il voucher è uno strumento innovativo che, se ben utilizzato permette una riduzione della pressione fiscale e previdenziale sul costo del lavoro, permettendo a imprese e famiglie di non finire stritolati in una burocrazia elefantiaca. Ripeto i voucher possono essere riregolamentati ma non cancellati, va colpito l’abuso e non lo strumento”.