Anche quest’anno gli Academy Awards sono stati investiti dalle polemiche. Se l’anno scorso gli Oscar erano stati visibilmente troppo bianchi, quest’anno i candidati si differenziano e le nomination per la rappresentanza di colore sono fioccate. Eppure, in una certa maniera anche quest’anno i premi più importanti del cinema sono la celebrazione dello strapotere dell’uomo bianco dalla dubbia morale.
In particolare, le critiche sono state rivolte a due celebri candidati, a Casey Affleck candidato come miglior attore protagonista (nel film prodotto da Amazon Manchester by the Sea) e a Mel Gibson candidato per la miglior regia (in La Battaglia di Hacksaw Ridge). La lista dei misfatti dei due è, però, lunga e infamante e indegna di qualsivoglia premio.
Nel 2010 Casey Affleck è stato accusato da due delle donne che lavorano con lui sul set del suo mockumentary sperimentale Joaquin Phoenix – Io sono qui! di reiterati abusi. Il regista attore non solo si sarebbe introdotto in camera di una delle due in piena notte mentre questa dormiva, ma avrebbe anche intimato all’altra di andare a letto con lui e l’avrebbe strattonata per farla restare nella sua camera d’albergo quando questa aveva rifiutato. Secondo le denunce, poi sfociate in un processo risoltosi con un patteggiamento in denaro a carico di Affleck, l’attore sul set avrebbe anche costretto un suo sottoposto a spogliarsi davanti alle donne già citate.
Le colpe di Mel Gibson, sono invece più famose e francamente ancora più ingiustificabili. L’attore di Braveheart non ha gran cuore nella vita reale e, da anni, viene colto in flagrante in patetiche invettive contro gli ebrei, le donne e persone gay, solo per citarne alcune. Oltre alle parole, Gibson spesso passa anche alle vie di fatto, come quando ha pestato a sangue la sua fidanzata o ha minacciato di uccidere il reporter del New York Times Frank Rich.
Charles Bukowski, non un santo egli stesso, denuncia nel suo libro Hollywood, Hollywood (1989) parecchie delle nefandezze, più o meno evidenti, di questo circolo chiuso di adepti. Il libro che altro non è che la trasposizione autobiografica e letteraria delle vicissitudini che l’autore ha incontrato nello scrivere una sceneggiatura per Hollywood, Barfly, è il più chiaro manifesto delle zone d’ombra di questo mondo patinato. Nelle parole dello scrittore tedesco-americano i personaggi che popolano questa soleggiata porzione di California sono potenti quanto meschini:
“Molti dei ricchi e famosi erano in realtà solo troie e bastardi ottusi. Erano semplicemente capitati in qualche giro dove davano via i soldi. O magari si erano arricchiti grazie alla stupidità del pubblico. In genere non avevano talento, non avevano occhi, non avevano anima, erano pezzi di merda ambulanti, ma per il pubblico erano degli dei, belli e riveriti. Il cattivo gusto crea molti più milionari di quello buono.”
Oggi come allora, soldi e potere e, in alcuni casi, talento sono gli unici standard con cui Hollywood sa confrontarsi. La morale e il buon gusto, invece, sembrano concetti estranei agli Academy. E a dimostrarlo non sono le i premi di quest’anno di quest’anno ma una lunga storia di nomination che hanno premiato personaggi dal passato controverso includendoli nella esclusiva cerchia Hollywoodiana. Per credere a come gli Oscar non solo ignorino, ma in un certo senso glorifichino una serie di uomini colpevoli rimasti impuniti basta pensare ai pluri-nominati e premiati Woody Allen che ha prima circuito (e poi sposato) sua figlia adottiva Soon-Yi Previn appena maggiorenne e 35 anni più piccola di lui mentre ancora era in una relazione con Mia Farrow (madre adottiva dell’allora ragazza) e Roman Polanski che si è dichiarato colpevole nel processo per aver stuprato una tredicenne in patria.
Oggi, infine, con il trionfo di Affleck nella categoria di miglior attore, questa pratica deprimente si consolida. A capire più di tutti, che un Oscar è l’equivalente Hollywoodiano di un cartoncino ‘esci gratis di prigione’, è l’attore stesso che nel discorso di accettazione dice di ‘amare questa industria’ e di essere lieto di essere da questa accettato, nonostante tutto.