Era il 20 febbraio del 1816 – esattamente 201 anni fa – quando “Almaviva, ossia l’inutil precauzione”, andò in scena per la prima volta sul palco romano del teatro Argentina. L’opera di Gioacchino Rossini ebbe in un primo momento un’accoglienza piuttosto tiepida da parte del pubblico romano, ma si guadagnò – nel tempo – un crescente successo, diventando una delle opere più rappresentate del compositore pesarese e assumendo – nell’uso comune – il titolo de Il barbiere di Siviglia.
Le vicende prendono spunto dall’opera di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, insegnante di corte delle figlie di Luigi XV e suo segretario personale. Beaumarchais scrisse il Barbier de Seville nel 1775, in profumo di Rivoluzione, osservando con beffardo distacco gli appetiti della borghesia in ascesa e rappresentandone passioni e sotterfugi amorosi. La visione ironica del francese, ebbe un seguito importante nel panorama operistico europeo: oltre al melodramma di Almaviva, di cui parliamo oggi, il personaggio del barbiere Figaro ispirò anche Giovanni Paisiello e Wolfgang Amadeus Mozart.
Il factotum della città
Con la celeberrima aria Largo al factotum, il baritono Figaro si presenta al pubblico come protagonista assoluto della storia. Nonostante il ruolo dell’innamorato sia ricoperto dal conte di Almaviva, il barbiere si impone col suo carisma scanzonato, perfettamente inquadrato dai virtuosismi musicali di Rossini. Tra un gorgheggio e l’altro, scopriamo l’amore appassionato del conte nei confronti di Rosina, una giovane e bella fanciulla di Siviglia. La ragazza abita con il suo anziano tutore don Bartolo, che vorrebbe anch’egli sposarla: davanti a quest’intreccio spinoso, il conte si rivolge al multiforme e astuto Figaro che – da bravo factotum – non si tira indietro alla sua missione di sensale. Con un gioco di travestimenti, biglietti, calunnie e rapidi scambi di persona, l’amore riuscirà a trovare la strada e Almaviva – nei panni di un soldato ubriaco – arriverà a conquistare il cuore della bella Rosina. La trama, intricata al punto giusto, rientra perfettamente nelle corde di Rossini che, così come nella Gazza Ladra, rivendica – sornione e leggero – una certa superiorità intellettiva del popolo: Figaro è il burattinaio capace di fare e disfare le coppie, genio della lampada per una classe media un po’ allo sbando. Non è da sottovalutare la portata rivoluzionaria del personaggio del barbiere, specialmente se considerato nei capitoli successivi della saga letteraria e operistica che lo riguarda, completata da Le nozze di Figaro e La madre colpevole. Dietro il volto innocente dell’opera buffa, infatti, gli intellettuali irridono i loro padroni di sempre, i nobili, trafugando la loro tradizionale eroicità per donarla al popolo: dopo la ghigliottina, dopo la Comune e dopo la Carta dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, questi temi erano piuttosto scottanti per la committenza europea, in gran parte ancora nelle mani di chi, per concessione divina, deteneva denaro, potere e privilegi.
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