Alle 9.30 di oggi, 13 febbraio, dei passanti hanno trovato il corpo senza vita di un clochard di origine polacca: si tratta del secondo caso in pochi mesi. Il primo, come qualcuno ricorderà, sconvolse la città a gennaio, quando il freddo intenso di quei giorni provocò la morte di un altro senza tetto, un uomo di 42 anni. In seguito a queste due tragedie, abbiamo chiesto all’assessore al Welfare, Francesca Bottalico, qual è il ruolo delle istituzioni nell’emergenza dei senza fissa dimora e che connotazioni ha il fenomeno nella città di Bari.
In primo luogo è confermato, dalle prime valutazioni della medicina legale, che l’uomo era dipendente dall’alcol e che aveva rifiutato in passato l’inserimento in strutture socio-sanitarie dedite a questo tipo di problematiche, nonché era stato ultimamente al pronto soccorso dove aveva rifiutato – anche là – gli interventi.
Capita spesso che l’assistenza sia rifiutata?
Capita quando ci sono delle situazioni di forte dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti. Quello dei senza fissa dimora è un mondo molto complesso, la povertà economica è l’effetto più visibile, ma ciascuno di loro ha una storia alle spalle. In alcuni casi l’intervento sociale è limitato: in un dormitorio alcuni soggetti sono pericolosi per gli altri ospiti, anche perché spesso alle dipendenze sono associate patologie psichiatriche.
Che risposta ha dato la rete del Welfare a questo tipo di problemi?
Abbiamo raddoppiato i posti letto: ora ne abbiamo 316, che diventano 400 nelle emergenze. Ne saranno, inoltre, avviati altri 200 nei prossimi mesi grazie alla rete di accoglienza diffusa. Questo sarà l’anno in cui ci dedicheremo alle povertà estreme: non solo i senza fissa dimora, ma anche le famiglie, gli anziani soli. Abbiamo da poco aperto, per questo, l’emporio della solidarietà nella “Casa dei bambini e delle bambine” e presto avvieremo una messa in rete di tutti gli empori cittadini, coordinando le associazioni di volontariato e le realtà di ambito cattolico. In più ci sarà un potenziamento del pronto intervento sociale, con la creazione di uno sportello di prossimità per costruire una banca dati di osservazione del fenomeno e di un’unità di strada per i casi legati alle dipendenze, che richiedono un intervento specialistico. C’è una delibera, inoltre, per l’ottenimento delle residenze per i senza fissa dimora, che consentono loro di avere la copertura sanitaria. A tutto questo si aggiunge anche un programma di cogestione nei centri di accoglienza, per agevolare il reinserimento lavorativo, trasformando la semplice assistenza in risposte concrete al bisogno di emancipazione degli individui.
Negli ultimi anni i casi di emergenza sono aumentati?
Non aumentati, ma triplicati. Attualmente si registrano circa 10mila persone in stato di povertà, con reddito sotto i 3mila euro annui. La cosa più grave è che non sono più solo i senza fissa dimora tradizionali, ma sono spesso famiglie, uomini soli, figli di separati, persone con forti dipendenze e patologie psichiatriche: si è molto allargata la fascia della povertà. C’è chi era nella fascia media ma ha perso lavoro, ha subito uno sfratto, ha contratto una malattia o è afflitto da dipendenza da gioco – un caso molto frequente anche tra donne e anziani soli che si giocano l’intera pensione. È necessario che il sistema che lavora sulle povertà operi in maniera strutturale e che metta al centro la persona e il suo reinserimento, dandole degli strumenti per ricostruire la propria vita. A tutto questo si aggiunge la frammentazione delle relazioni familiari: la giovane coppia che un tempo si appoggiava ai genitori, ora ha perso un sostegno a causa della crisi che ha colpito anche i pensionati. Non può il welfare rispondere da solo a dei bisogni così variegati, qua si parla di emergenze abitative, lavorative, sanitarie: è necessario integrare le politiche e i fondi e non lasciare indietro nessuno.