“Chi meglio di noi può fare un film sul precariato? Noi attori siamo i precari per eccellenza!”. Con l’amara ironia caratteristica di Smetto quando voglio – opera prima di Sidney Sibilia del 2014 – Edoardo Leo, Lorenzo Lavia e Valerio Aprea sono arrivati a Bari, per salutare il pubblico e incontrare la stampa in occasione del l’uscita del secondo film della saga, Smetto quando voglio – Masterclass.
In questo nuovo capitolo il neurobiologo Pietro Zinni (Leo), e i latinisti Mattia Argeri (Aprea), e Giorgio Sironi (Lavia), insieme al resto della banda, sono stati assoldati dalla polizia per mettere a disposizione dell’ordine pubblico le loro straordinarie competenze criminali, accumulate nel corso del primo episodio. Così, la Banda dei ricercatori si rimette in piedi per affrontare nuove e sempre più “stupefacenti” avventure. Siblia torna, dunque, a parlare di crisi del mondo del lavoro, sorvolando la denuncia diretta con una trama ai limiti dell’assurdo. “A chi dice che questo film è diseducativo perché si parla di spaccio – puntualizza Lavia – faccio notare che è la storia di alcune persone la cui cultura e preparazione sono sottostimate: questo è davvero diseducativo”.
“Quando Sibilia ci ha proposto un secondo e un terzo capitolo di Smetto quando voglio, la nostra prima reazione è stato dissuaderlo – racconta Valerio Aprea – ma, leggendo la sceneggiatura, abbiamo visto il progetto al di là del successo del brand e abbiamo accettato”. Per andare incontro alle esigenze del cast, molto numeroso, la produzione ha scelto di girare insieme secondo e terzo episodio. Tra le scene madre di Masterclass, la scazzottata tra Leo e Luigi Locascio sul tetto di un treno, nella zona portuale di Brindisi che ha portato per due settimane la Banda in Puglia.
“Sembravamo due ladri di rame – ricorda Edoardo Leo – la gente che passava ci guardava perplessa. Ho anche ricevuto delle mail che mi dicevano: ‘Ti ho visto su un treno a Brindisi mentre parlavi con Locascio, tutto bene?'”.
La crisi del cinema
Al centro della riflessione del cast, la crisi che ha messo in ginocchio anche il cinema italiano. Casi come quello di Smetto quando voglio, anche per via della longevità del marchio e del coraggio di riproporsi in una saga – danno spazio alla critica di parlare di “rinascita del cinema italiano”. “Periodicamente arriva in sala un film di successo, a cui ne seguono altri e che danno l’impressione di una ripresa – osserva Leo – ma la verità è che il cinema italiano è ricco di eccellenze, ma manca un’industri a strutturata e una legislazione alle spalle che permettano di superare questo andamento singhiozzante”.
Il crollo degli incassi nelle sale, è stato affossato – nell’opinione degli addetti ai lavori – dai mercoledì di proiezioni a 2 euro imposti dal Ministero della Cultura. “Così si fa passare l’idea che il cinema valga poco – spiega Leo – ormai costa più un mojito che vedere un film in sala”. “Il coraggio e le idee ci sono – conclude l’attore – ma ormai il pubblico spende per altre cose e il cinema e la cultura hanno perso priorità nella vita delle persone”.