Farhadi Vs Trump
Al centro del fronte internazionale anti-Trump, il regista iraniano Asghar Farhadi boicotta la notte degli Oscar. La decisione è stata maturata pochi giorni fa, in risposta al decreto anti immigrazione – al momento sospeso in un braccio di ferro tra magistratura e governo – del neo presidente Usa, che dovrebbe impedire ai cittadini di Siria, Iraq, Iran, Yemen, Somalia, Sudan e Libia di entrare in territorio americano. Il regista concorre alla corsa dell’Academy con il suo Il cliente, nominato tra i migliori cinque film stranieri dell’anno; insieme a Farhadi, nella simbolica assenza, anche la protagonista del film, Taraneh Alidoosti. Il cliente, liberamente tratto da Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, è la storia di Rana (Taraneh Alidoosti) e Emad (Shahab Hosseini), due attori che sono costretti a lasciare il loro appartamento a Teheran per trasferirsi in una nuova casa, precedentemente abitata da una donna misteriosa. Qui, Rana subirà una violenza – la cui natura non è mai dichiarata nel corso del film – che finirà per sconvolgere la vita della coppia e del suo carnefice.
La poetica dell’assenza
Interessante constatare come un regista che ha sviluppato con insistente sensibilità il tema del protagonismo dell’assente, abbia scelto di portare avanti la sua rimostranza politica con il suo non esserci. Da About Ellie a Il cliente, infatti, Farhadi esegue il principio narrativo del protagonista, non come personaggio più visibile, ma come colui di cui di più si parla. In particolare ne Il cliente, il primo motore immobile dell’azione, pur nella sua totale assenza – appunto – è la vecchia inquilina dell’appartamento in cui Rana e Emad vanno a vivere. Gli oggetti della donna, i suoi ricordi e le sue frequentazioni sono presenze ingombranti nella storia e nella tragedia che colpisce le vite dei personaggi e, nel corso del film, il pubblico non può fare a meno di chiedersi, con crescente avidità, chi è quella donna, dove è andata, come è fatta e se si avrà l’opportunità di guardarla in volto, anche solo per un secondo.
La vita e il teatro
Un altro elemento fondamentale de Il cliente, è la doppia narrazione tra vita e teatro. Leggere Miller a Teheran diventa l’occasione per un gioco di specchi tra il dramma che si consuma sul palcoscenico e quello che si infrange nelle coscienze dei personaggi. Emad sceglie di interpretare Willy Loman, la maschera tragica del Sogno americano, in virtù della portata progressista del personaggio, che punta – nel suo fallimento – il dito sulle contraddizioni della società capitalista e sull’ipocrisia del microcosmo familiare. La crisi di Emad, però, esplode nel momento in cui l’attore si trova faccia a faccia con il vero commesso viaggiatore: Naser (Farid Sajjadi Hosseini), un modesto fattorino, diviso, come Loman, tra due vite parallele. Nel confronto tra i due, Farhadi descrive – con uno stile straordinario – il progressivo trasformarsi dell’uomo in bestia e il fallimento totale della cultura, quando questa a un superficiale artificio estetico. L’intellettuale diventa dunque carnefice e il debole, l’immorale, il perverso commesso viaggiatore collassa sotto al peso della legge del taglione.
Come si diventa una bestia?
Se c’è un personaggio, però, che non cede alla violenza, è proprio Rana. Così come Linda, la protagonista femminile del dramma di Miller, Rana – nonostante l’estrazione intellettuale della coppia – soffre dell’isolamento domestico della sua condizione femminile. Compromessa nella sua intimità, l’attrice rischia di diventare donna-oggetto non solo per il suo stupratore, ma anche – e soprattutto – per il marito, accecato dalla vendetta; Rana si ribella e irrompe nella follia lucida di Emad, rivendicando il diritto al silenzio e al perdono. Farhadi ripone grande fiducia nel genere femminile, e non a caso la sua protagonista ha anticipato la protesta al decreto di Trump, dichiarando, pochi giorni prima del regista, la sua assenza.
Il progresso della società può essere misurato dalla condizione del genere femminile (K. Marx).