Neulengbach, 1912. Egon Schiele, uno dei protagonisti della secessione artistica di Vienna e allievo prediletto di Gustav Klimt, è accusato dall’ufficiale Von Mosig di aver traviato la giovane Tatjiana, sua figlia. Quel che segue è un processo per corruzione di minori e un periodo di detenzione che, per quanto breve, segna un solco profondo nel percorso umano e artistico del pittore, ferito dalla mediocrità censoria dell’Austria cattolica del primo Novecento.
La vena lirica di Schiele, già evidente prima del periodo in carcere, diventa – dopo il 1912 – ancora più tragica e sofferente, ispirata da diverse riflessioni sulla società, sulla censura e la sua ipocrisia. Se Dio, infatti, ha creato il corpo umano – maschile e femminile – nella sua interezza, con che diritto l’Uomo decide quali sue porzioni sono più o meno degne di essere rappresentate? Schiele è uno dei più consapevoli difensori dell’erotismo come forma d’arte, al pari di tutti gli altri soggetti, con i quali non manca – tuttavia – di confrontarsi.
“Tutta l’arte è erotica” (G. Klimt)
La rappresentazione di corpi femminili, contorti e voluttuosi, ha reso lo stile di Schiele inconfondibile, travalicando – talvolta – il suo stesso nome. La magrezza delle figure, avvicina l’immaginario erotico rappresentato dal pittore al contemporaneo, turbandone i sensi e le coscienze. La giovane età delle modelle e la loro sensualità acerba e sfrontata è un dito puntato sul desiderio del pubblico, uno sguardo impietoso sulla sua intimità e un’indagine aperta sui suoi istinti. I corpi lividi, inoltre, sono una potente calamita per le inquietudini più profonde dell’essere umano: nelle loro pose innaturali, esibite e platealmente acconciate, le ragazze di Schiele rimandano alla sofferenza e alla morte, diventando espressione del più classico dei connubi, quello tra eros e thanatos. Solo una visione profonda, come quella di Schiele, ha potuto portare l’erotismo in pittura a livelli così unici: lontana dal puro voyerismo o dal piacere fine a sé stesso, la sessualità del pittore abbraccia ogni aspetto della vita umana, dal suo rapporto con Dio, all’attesa angosciata della morte.
Come in Lolita di Nabokov, la gioventù delle donne di Schiele appassisce rapidamente, portatrici sane di vecchiaia, strutturalmente destinate alla corruzione: “La guardai. La guardai. Ed ebbi la consapevolezza, chiara come quella di dover morire, di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto o potuto immaginare. Di lei restava soltanto l’eco di foglie morte della ninfetta che avevo conosciuto. Ma io l’amavo, questa Lolita pallida e contaminata, gravida del figlio di un altro. Poteva anche sbiadire e avvizzire, non mi importava. Anche così sarei impazzito di tenerezza alla sola vista del suo caro viso”.