“La criminalità pugliese, lungi dall’aver intrapreso un mutamento epocale” come invece hanno fatto le altre grandi organizzazioni criminali italiane, come Cosa nostra e ‘ndrangheta, “continua a mantenersi fortemente ancorata alle classiche attività delittuose” quali traffico di droga e armi, riciclaggio, usura, estorsioni e rapine. È quanto si legge nella relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) relativa al primo semestre 2016. “A questo stato di cose – spiegano gli investigatori antimafia – sembra aver concorso la detenzione degli storici capi dei clan e la progressiva assunzione dei ruoli di vertice da parte di giovani emergenti, lontani dagli schemi gerarchici e dalle regole tramandate dai predecessori”.
Le indagini hanno documentato anche un ricorso sempre più raro ai riti di affiliazione mafiosa. Su tutto il territorio pugliese emerge un “forte dinamismo nel traffico di sostanze stupefacenti, dove prosegue l’interazione con i sodalizi albanesi, serbi, montenegrini, bosniaci e kossovari per lo smistamento dei carichi di droga diretti alle piazze di spaccio del Centro e Nord Italia”. Le indagini di un anno fa rivelano inoltre contatti della mafia tarantina con cosche calabresi per il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette, oltre a una significativa presenza di gruppi criminali pugliesi in Germania e Spagna per traffico di droga e armi e come luoghi di rifugio per i latitanti.
Nell’analisi delle singole province, la Dia evidenzia come a Bari e in provincia sono attivi gruppi che operano nel traffico di droga e nel racket delle estorsioni: soprattutto nel settore dell’edilizia, dove sono state documentate assunzioni di persone legate ai clan per la guardiania dei cantieri. Anche qui le indagini hanno accertato la presenza di “giovani emergenti che tendono a disconoscere l’autorità dei capoclan”. In provincia di Lecce la “criminalità organizzata ha mostrato minore esuberanza e vitalità e sembra attraversare una fase di stallo, oltre che disorganizzazione”. Questa situazione, si spiega nella relazione della Dia, sarebbe da ricondurre a due fattori: “La difficoltà incontrata dai capi carismatici della Sacra corona unita, quasi tutti detenuti, di ricompattare e riorganizzare le fila del proprio gruppo. E la ribellione intrapresa da alcuni reggenti dei maggiori sodalizi criminali nei confronti delle regole imposte dai boss, sempre meno propensi a versare somme di denaro destinate alle famiglie dei detenuti”.
Inoltre “le giovani generazioni di criminali appaiono meno sensibili all’autorevolezza dei capi e sembrano mal tollerare le direttive dei boss più anziani, rispetto ai quali tendono a sostituirsi” dimostrando anche una “minor attrattiva per le cerimonie di affiliazione”. Il territorio di Foggia si conferma “caratterizzato ciclicamente da contrasti cruenti” e attivo soprattutto in furti e rapine, che hanno preso di mira come area di interesse le province di Modena, Mantova, Reggio Emilia, Alessandria e L’Aquila.