Abbiamo visto come negli ultimi anni l’interesse della collettività a svolgere attività sportiva per il potenziamento fisico dei giovani e meno giovani sia cresciuto. Senza tener conto della distinzione tra dilettantismo e professionismo, allo sport si è riconosciuta, inoltre, una funzione altamente educativa. La stessa funzione non si traduce esclusivamente nel concetto di cultura fisica, ma, anche e soprattutto, di educazione morale dell’individuo al rispetto delle norme ed all’acquisizione delle regole di vita mediante l’applicazione, il sacrificio e l’allenamento.
Si pensi, ad esempio, ai codice etici delle arti marziali, al “terzo tempo” nel rugby e al concetto di “fair play”. In altre parole, lo scopo dello sport è quello di insegnare la lealtà e il rispetto del prossimo.
Ebbene, bisogna domandarsi se e quando chi svolge un’attività sportiva possa essere considerato responsabile per gli eventi che possono verificarsi durante lo svolgimento di tale attività, sia amatoriale che agonistica. È doveroso comprendere se e quando si è tenuti ad essere tutelati, qualora si subisca un infortunio, durante una gara o un allenamento.
Per rispondere al quesito, è opportuno evidenziare che nell’attività sportiva la dottrina e la giurisprudenza hanno fatto ricorso al concetto di “rischio consentito”. Difatti, l’atleta che decide volontariamente di praticare uno sport assume implicitamente il cd. “rischio sportivo”, inteso come la possibilità che, a seguito della sua condotta, si verifichi un illecito nato dalla violazione di norme proprie dell’ordinamento sportivo. Pertanto, quando si prende parte ad una competizione o, più in generale, si pratica uno sport, ogni atleta è consapevole che nell’attività è connaturata una componente di rischio, giustificata dalla sua stessa natura e dalle sue caratteristiche proprie.
L’imprevedibilità degli eventi, ovvero i rischi connessi, rendono necessario intendere la responsabilità in questione in senso restrittivo, poichè le eventuali lesioni derivanti dalla pratica sportiva possono essere considerate come l’implicita manifestazione del consenso dell’avente diritto a esporsi al rischio possibile. Ne deriva che i danni risarcibili non sono esattamente tutti quelli previsti a seguito della commissione del fatto illecito ma solamente quelli che siano causati da violazioni intenzionali dimostrabili delle regole sportive.
Da tempo, in giurisprudenza, si è affermato che la condotta dell’atleta potrà considerarsi lecita soltanto quando rispetti in toto le regole specifiche della disciplina praticata. Si ritiene quindi che le regole possano essere violate, rispettando il rischio consentito che si configura, pertanto, come il limite all’attività sportiva lecita. Tenendo conto delle regole dei singoli sport, alcuni comportamenti vengono considerati “normali”, qualora siano posti in essere in occasione di un esercizio o di una competizione sportiva. Potremmo, quindi, affermare che il concetto di “rischio consentito” comprende una serie di comportamenti che vengono ritenuti comunque “leciti”. Nel caso in cui si voglia escludere la responsabilità di un atleta che ha compiuto un fatto da cui derivino lesioni personali ad un altro partecipante alla competizione, sarà necessario individuare il collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo. La responsabilità sussiste se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco. Al contrario, la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso.
In termini pratici, si ravviserà una responsabilità nel caso in cui un bambino tiri un calcio ad un altro bambino quando la partita di calcio è ferma o nel caso di un placcaggio rugbistico durante una partita di basket. Non vi sarà responsabilità, invece, se anche in presenza di un contrasto particolarmente violento durante un azione di gioco, che possa essere qualificato come “fallo”, con l’ammonimento del giocatore, lo stesso possa essere ricondotto al normale sviluppo di un’azione di gioco. Allo stesso modo, non potrà essere considerato responsabile chi provoca un danno usando le tecniche del “Cha Yon Ryu” durante un incontro di Karate o un gancio durante un match di boxe.
Si tratta di una valutazione fattuale. Sarà l’avvocato esperto in diritto sportivo a dover dimostrare ogni circostanza utile a sostenere le ragioni dell’assistito per ottenere l’esonero della responsabilità o il contrapposto diritto al risarcimento danni per infortunio sportivo. Pertanto, è fondamentale avvalersi di un avvocato specializzato in diritto di sportivo, al fine di non incorrere in procedimenti infondati con conseguente condanna alle spese legali.