L’intervento di Nicola Fratoianni, leader nazionale di Sinistra Italiana, sul percorso di riaggregazione delle forze postcomuniste con la prospettiva dell’alternativa al Pd
“Cari compagni e compagne di Sinistra Italiana,
vorrei proporre a tutti noi una sfida vera: chiudiamo la stagione della sinistra che a causa delle guerre interne brucia ogni campo in cui si trovi a passare. Basta, cambiamo, sottraiamoci ai meccanismi infernali che si sono prodotti anche in questi giorni e facciamo di tutto per non dare solo conferme a chi dice che la sinistra è solo litigioso pulviscolo.
Vogliamo essere un’altra storia, anche per essere credibili quando chiediamo la stessa cosa all’intero arcipelago della sinistra sociale e politica. Lo dico soprattutto per la cura che va messa quando si discute di politica non per se stessi, per i propri ruoli da conservare o conquistare, ma per gli altri, per il corpo sociale del partito che ha bisogno di un dibattito limpido che ancora non si vede, e per coloro che sono esclusi, impoveriti, privati di diritti e dignità in questo nostro disgraziato paese e nel mondo che oggi conosciamo.
Veniamo da una vittoria importante: il grande No del 4 dicembre ha ribadito che la Costituzione è il nostro “bene comune” più alto, che contiene molti principi che in questi anni sono stati calpestati da precise scelte politiche, improntate a una modernizzazione senza alcuna modernità. A noi oggi sta il compito alto di tornare a dargli un senso. Dobbiamo sentire questa responsabilità, perché solo essa è capace di spazzare via manovre, giochetti, il clima di continua tempesta che eccita gli animi di alcuni ma deprime la maggioranza di noi.
Dobbiamo uscire dai paradossi, ed entrare nel merito di un franco e costruttivo dibattito tra opinioni diverse: la parola unità non può essere usata per creare nuove divisioni, la parola apertura non per costruire nuovi recinti. Per non parlare del concetto stesso di progresso, che in fondo è il primo punto di frattura anche nel dibattito tra le sinistre europee, dentro e fuori il campo socialdemocratico.
Il progresso è limitato all’accettazione, con qualche correttivo inefficace perché impossibile, del liberismo selvaggio che si è impadronito del mondo? Il progresso in Italia, per capirci, è il Jobs Act, sono i voucher, le pensioni da fame, la buona scuola, gli 80 euro, la libertà di licenziare una persona come fosse un macchinario che si accantona in un ripostiglio?
Il progresso è devastare un territorio solo perché con le grandi opere i grandi gruppi possano arricchirsi, e allo stesso tempo lasciare che le nostre città crollino sotto i terremoti, o vengano inondate a ogni pioggia, perché non vi è un piano di investimenti pubblici serio e massiccio sulla loro messa in sicurezza?
Io penso di no. Penso che le scelte politiche prevalenti operate negli ultimi 20 anni hanno portato il caos nella vita delle persone, non il progresso. La vittoria delle destre, nella società prima ancora che nelle urne, il caos appunto, non è il frutto della divisione di un campo.
La destra vince quando le scelte politiche ne aumentano e alimentano la forza egemonica. Vince nell’aumento smisurato della precarietà, vince in un mondo del lavoro le cui regole trasformano la dimensione della vita in mera merce di scambio a basso costo. La destra vince quando una presunta sinistra si presta a realizzarne i programmi di sempre, come ha fatto Renzi, e altri prima di lui.
Io vedo il caos nell’ipocrisia di una classe dirigente che davanti ai corpi a terra dell’ospedale di Nola annuncia indagini quando dovrebbe indagare solo sui continui tagli che la nostra sanità subisce da troppi anni.
Io vedo il caos leggendo il rapporto Oxfam che ci consegna un mondo in cui il capitalismo predatorio mangia tutto ciò che c’è, usufruendo del potere politico corrotto per sottrarre miliardi di risorse a una maggioranza di persone, sempre più in difficoltà, alla mercé degli interessi dei soliti.
Alcuni dentro e fuori di noi mettono in guardia dal rischio di consegnarsi a una dimensione testimoniale, fatta di proposte belle ma irrealistiche e irrealizzabili. Eppure il problema, come sempre, mi pare essere quello che vuole alcune proposte irrealizzabili perché in conflitto con gli interessi dominanti. Un modo di pensare che ha finito per disseminare cocenti delusioni perfino tra quei tanti innovatori “social, green and digital” che avevano riposto fiducia nella retorica dell’innovazione tanta cara all’ultimo governo.
Ecco, ancora oggi non vedo consapevolezza di questi problemi nel dibattito tra i protagonisti politici di quello che Pisapia e alcuni tra di noi chiamano “campo progressista”. Ne vedo tanta negli appelli di Papa Francesco, nei movimenti sociali, nel mondo sindacale, nell’associazionismo, nell’esperienza dei comitati del No e in tutte le persone comuni che incontro ogni giorno. Ma poco o nulla rintraccio nella discussione politica: nessuna revisione critica degli errori del passato, nessun coraggio nell’individuazione di obiettivi nuovi e concreti, nessuna vera ambizione al cambiamento.
Per questo penso che l’autonomia sia una scelta necessaria per una sinistra forte e autorevole. Non ho mai detto né pensato che le alleanze siano una cosa sporca o una parola impronunciabile. Ho detto e penso che le alleanze si possono fare quando c’è almeno una visione condivisa tra i contraenti: e oggi di questa pare non esservi traccia concreta. Risulta quindi impensabile immaginare di partecipare a primarie di coalizione con Matteo Renzi: perché sarebbe l’ennesima manovra politica priva del necessario fondamento.
La buona politica, oggi più che mai, ha bisogno di chiarezza e trasparenza per tornare a calpestare i luoghi del conflitto e della sofferenza, a costruire la speranza, a liberare le energie di coloro che si sono sentiti ostaggio di gruppi dirigenti dalle scelte contraddittorie, a volte oscure e traballanti, rifugiandosi nell’astensionismo.
Ha bisogno che si dica, anche nel nostro congresso e soprattutto quando vi è un dissenso, in maniera a tutti comprensibile e senza giri di parole, cosa si pensa, cosa si vuol fare, con chi lo si vuol fare e come. E che tutto ciò si confronti in un processo democratico e partecipativo, non attraverso svolte improvvisate o locuzioni involute.
Per questo il congresso di Sinistra Italiana è un appuntamento importante, perché a oggi sembra l’unico vero luogo democratico in cui il mondo della sinistra potrà esprimersi dopo il referendum e prima delle elezioni politiche.
Voglio essere franco: ho piena consapevolezza dei rischi di cui è gravida questa nostra impresa, e so molto bene che ci sono ancora molte cose che non girano per il verso giusto. Ma nessuna nuova storia può cominciare rinunciando a indicare la via o riponendo le proprie speranze in ciò che non è nelle nostre mani.
Bisogna, certo, guardare con attenzione a quello che succede attorno a noi, anche nel Pd, ma non voglio un partito che vive in funzione del Pd. Lo trovo sbagliato, inutile e persino controproducente rispetto alla speranza che quel partito cambi.
Oggi occorre ripensare l’alternativa, perché al contrario di ciò che ci hanno ripetuto per anni una alternativa c’è sempre. Ma come dimostra il caso delle recenti elezioni americane non è detto che l’alternativa sia migliore. Per questo non mi rassegno all’idea del meno peggio. Perché poi, altrimenti, ciò che arriva è sempre (un po’) peggiore”.