Rogue One, il nuovo nuovo episodio di Star Wars, è un prequel, spin-off della celeberrima saga. Inserendosi temporalmente tra la prima (episodi IV, V e VI) e la seconda trilogia (episodi I, II e III), questa Star Wars Story racconta di come i ribelli abbiano rubato i piani della Morte Nera che sono poi stati affidati alle cure della principessa Leia Organa (Carrie Fisher). Rogue One è quindi l’anello mancante tra i due prodotti di George Lucas, pur non avendo quasi nessuno dei suoi personaggi (se non quelli riprodotti all’occorrenza in computer grafica) e pur essendo privo quasi del tutto della componente Jedi.
rn
Protagonista della pellicola è, anche stavolta, come nel sequel di J.J. Abrams (episodio VIII) una giovane ragazza dotata dal passato ingombrante. Jyn Erso (Felicity Jones) è infatti la figlia di Galen Erso (Mads Mikkelsen) lo scienzato, suo malgrado asservito alla forza oscura, che ha progettato la Morte Nera. Reclutata dalle forze ribelli per mettersi in contatto con il padre che non vede da oltre un decennio, Jyn si troverà immischiata in una missione suicida, ai confini dell’universo e con una ciurma di viaggiatori spaziali derelitti ma determinati a regalare una nuova speranza all’umanità.
rn
Una nuova speranza – A New Hope – è il mantra che unisce questa produzione a quella Lucasiana e che, al tempo stesso unisce questa eroina ad un’altra, Leia. Il parallelo tra le due è piuttosto evidente. Innanzitutto, Jyn e Leia sono ribelli per definizione. Nonostante una un’iniziale riluttanza, Jyn diventerà nel corso di questa avventura un’alleata fondamentale per l’alleanza, perché, proprio come Leia, non ha niente da perdere ed è disposta a tutto per vedere trionfare la causa ribelle.
rn
rn
L’impegno di Jyn e Leia, sembra più una scelta che una mera opera del destino. Le due non sono state prescelte dal fato, ma hanno scelto consapevolmente, quasi religiosamente, di sposare la causa ribelle, prima di tutto, come due suore combattenti, non come salvatori eletti.rnMentre Rey, protagonista della nuova saga, è un’eroina androgina – in altre parole una specie di reincarnazione del già gender neutral Luke Skywalker – e la rappresentante della Forza nella sua forma più pura e innocente, Jyn e Leia si muovono su un equilibrio meno definito, e incanalano la loro forza (bruta) non in lampi fosforescenti, ma a colpi di blaster e cazzotti.
rn
Al tempo stesso, Jyn non è una non- protagonista come Padme; non ha costante bisogno di essere salvata come la mammina della prima trilogia, e anzi si barcamena in una relazione complicata con un mercenario spaziale. Vi ricorda niente?
rn
rn
I paragoni non finiscono qui, perché Jyn, come Leia, ha un’acutissima forma di sindrome da abbandono paterno. Ma d’altronde, proprio come la principessa, è giustificata: sfido chiunque a non avere daddy issues avendo come padre Darth Vader o Mads Mikkelsen.
rn
Per merito di questo parallelismo illustre film – per quanto possa sembrare l’ennesima aggiunta superflua ad un universo trito e l’ennesimo tributo di sangue offerto dalla Disney al Dio Danaro – acquisisce un grande merito. Se non altro, Rogue One è, almeno, la testimonianza dell’eredità immensa lasciata da Carrie Fisher non solo nell’universo di Star Wars ma in quello delle eroine al femminile del cinema. Il passaggio del testimone, metaforico nella forma dei piani della Morte Nera, è reso ancora più drammatico dalla scomparsa dell’attrice qualche giorno fa. E fa riflettere; su quanta strada la principessa ha compiuto da quella prima galassia lontana lontana alla stella sul firmamento di Hollywood.