Dublino, anni ottanta. La vita del giovane Conor Lawlor è, giorno dopo giorno, sempre più complicata. A casa la famiglia sta andando in pezzi, in classe gli insegnanti lo assillano con regole incomprensibili, in cortile il bullo di turno lo tormenta. In questo mare di grigiore e frustrazione, come sirene lo richiamano alla vita i coloratissimi video musicali trasmessi in televisione, i vinili del fratello maggiore Brendan e la bella Raphina, che sta per partire per Londra per fare la modella. All’improvviso il mondo di Conor si illumina di glam e si anima nelle tinte acide dei Duran Duran e di David Bowie.
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We don’t need no education
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Londra non è poi così lontana. Il rock si diffonde nelle stanze degli adolescenti, arrivando anche nell’Irlanda ingrigita dal cattolicesimo e dalla crisi economica, penetrando nei comportamenti, nei sogni e nell’immaginazione dei personaggi. Nei Sing street – il nome della band che Conor forma per conquistare Raphina – i ragazzi trovano un lasciapassare per un’altra dimensione in cui si liberano di anni di penombra per godere della luce dei riflettori e di un’autostima nuova di zecca. Sing street è un canto rock di adolescenza e di rifiuto di ogni regola imposta dalla vecchia generazione di genitori e insegnanti e di fuga da una vita da anonimi mattoni nel grande muro floydiano. La musica e l’amore sono l’occasione per il protagonista per emanciparsi dal dolore e dall’umiliazione di ogni giorno, dall’abbandono familiare e dalla violenza e dallo squallore delle aule scolastiche. Il risultato è la trasfigurazione di personaggi e ambienti in quella che è una delle scene madre del film, in cui il set del loro videoclip più ambizioso diventa veicolo per un mondo migliore, in cui i genitori si amano ancora, i tiranni si lanciano in balli acrobatici, l’amore trionfa e Conor è il Dio del suo universo, protagonista del suo film e frontman indiscusso della sua band.
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« Gli Irlandesi sono i più negri d’Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: “Sono un negro e me ne vanto!” » (The Commitments)
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Con Sing street John Carney torna in Irlanda, dopo l’avventura americana di Begin Again (distribuito in Italia col titolo di Tutto può cambiare). Il regista – la cui storia personale spiega la sua innata propensione per i racconti in cui la musica è la colonna portante della narrazione – ritorna nella sua dimensione naturale e mette in piedi un film vivace, empatico, entusiasmante. Il cast è composto in gran parte da attori alle prime armi, a cominciare dal protagonista, Ferdia Walsh-Peelo, che interpreta Conor, e dai suoi compagni d’avventure, Ben Carolan (Darren), Mark McKenna (Eamon), Percy Chamburuka (Ngig) e il bullo Ian Kenny (Barry). Maria Doyle Kennedy è la madre di Connor, donna insoddisfatta e malinconica, presenza silenziosa ed esempio di libertà e coraggio per il ragazzo: non a caso, Carney ha scelto per questo ruolo una delle attrici di The Commitments, commedia musicale del 1991 diretta da Alan Parker, un’analoga storia di riscatto sociale conquistato sul palcoscenico. Importanti le figure di Raphina – l’americana Lucy Boynton – bellezza sfacciata e prematura delle periferie dublinesi, e di Brendan (Jack Reynor), fratello di Conor e suo mentore musicale e filosofico.
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Co-protagonista, insieme ai ragazzi della band, la musica degli anni ottanta. Oltre ai Duran Duran – citati a più riprese come modello estetico e musicale – fanno la loro comparsa i Motörhead, i The Cure, gli Spandau Ballet, i Genesis (sottoposti a una critica spietata) e numerosi altri artisti che hanno fatto la storia di quel decennio. Il regista si sforza – con successo – di ricostruire le atmosfere kitsch di quegli anni con una cura appassionata nelle inquadrature e nei costumi, restituendo un trascinante racconto di adolescenza, speranza e ribellione.