“La piccinon, la piccinon”. E giù un pugno sordo sulla parte della macchina del videopoker. una immagine indelebile. La riffa del raddoppio era finita male. Bari, 1991, autunno uggioso. Poca voglia di andare a scuola. I primi motorini. Gli enduro 50cc. E la voglia di proibito più forte di tutto.rnrnI gestori delle sale. Nomi indelebili. La mania dei diminuitivirnrnTanti hanno iniziato così a giocare al videopoker. C’era ancora la lira. Bari era disseminata di sale più o meno occultate. I nome dei gestori. Nino, Andrea, Nico, Pino, Dino, Lele. Diminuitivi. Volti cupi. Eppure sorridenti. Erano i custodi di stanze separate da una parte in carton-gesso. Davanti, nella zona aperta, i videogame storici, Out Run, Bubble Bobble, Virtual Fighter e Pacman, nel retrobottega le “macchinette”. Sugli schermi dove si inseguivano i nemici nei game spara-tutto, comparivano le carte del videopoker. Nino aveva una chiavetta. Girava in una fessura il ferretto per caricare la cifra in lire che il ragazzino voleva giocare. “Mitt desc”. Diecimila lire.rnrnLe giocaternrnBisognava scegliere quanto puntare, ed era fatta. Cinque carte, la possibilità di cambiarne alcune. L’esito finale. Il punto. L’eventuale vincita. Tutto finito? No. C’era la roulette del raddoppio. “Piccola o grande”. Dall’asso al 6 era piccola, dall’8 al K grande. E il 7? Era la beffa. La macchina ritirava la posta. L’ebbrezza massima era nell’indovinare la serie di raddoppio. Piccola-piccola-piccola-grande-piccola. Superate le duecentomila lire, si chiamava ancora Nino. “Scarica”. Il gestore andava al bancone e allungava quattro banconote da cinquantamila lire, una vincita leggendaria nel sottobosco che frequentava queste sale.rnrnSigarette e bevande per i giocatori ossequiatirnrnIn quell’Italia ancora poco puritana, si fumava maledettamente nelle sale del videopoker. L’aria era piacevolmente irrespirabile. Quando si diventava assidui frequentatori, si poteva chiedere a Nino anche di portare da bere alla macchinetta. Una aranciata o una coca. Segno di massima riverenza.rnrnI sistemi anti-controllo delle forze dell’ordinernrnLe sale avevano comandi segreti per evitare controlli. Alle spalle di Viale Einaudi, c’era una sala biliardi. In un angolo una finta porta. Si entrava e c’erano otto macchinette del videopoker. Erano rinomate. Vigevano leggende che “pagassero”. Poteva però capitare che nel ben mezzo di un raddoppio, “staccassero la luce”. In alto si accendeva una spia rossa o verde. E calava il silenzio nella stanzetta. “Controlli della Madama”. Solo quando la polizia andava via, ritornava la corrente. Allora iniziava una contrattazione forsennata con il gestore per riavere la cifra che si assicurava di avere ancora “caricata” nel sistema. Da Andrea capitò con un giocatore incallito. Marlboro e barattolo da litro di vetro, con succo di pescao. Richiedeva la restituzione di 80mila lire ad Andrea, che tentennava. La discussione si infervorò. Volò la bottiglia con il succo di frutta contro lo schermo di una macchinetta. Vetri per aria. “Ma tu c’ siiii?!?!”. A quel punto era prudente volare lontano dal luogo della discussione…rnrnIl venditore del libro dei raddoppirnrnIl gioco generava vere epiche. A volte, durante le partite più fortunate, si avvicinava un (presunto) esperto. Impermeabile, occhiali Ray-Ban da vista, lusingava il giocatore in un momento di pausa. “Ho il libro dei raddoppi. Un lavoro scientifico. Che dico? Matematico- Te lo fotocopio. Mi paghi. E vincerai milioni di lire…”. La conversazione iniziava più o meno così. Come una sorta di Lucignolo, il venditore del libro dei raddoppi millantava, faceva sognare, raccontava di vincite miracolose. Salvo poi spillare una banconota e assicurare il suo ritorno con il magico volume. Ovviamente si volatilizzava. Salvo tornare a vendere sogni in un’altra sala poker…rnrnI genitori ostili o videopokeristi incallitirnrnC’erano genitori che arrivavano a pagare Nino o Andrea per impedire al proprio figlio di andare a “caricare” decine e decine di migliaia di lire nei videopoker. Altri invece, giocavano con i propri figli seduti al fianco, generando un inossidabile processo di emulazione.rnrnPropaggini della malarnrnLa giostra del videopoker clandestini, ovviamente, era (ed è nelle versioni attuali) uno dei tentacoli del malaffare, delle mafie del riciclaggio, della sovversione dei valori che vige nella zona grigia tra la città bene e quella della mala.rnrnVizio individuale. Da pcrnrnOra, l’individualizzazione ha prevalso anche nello spazio ludico. Non si gioca più a videopoker nel retro delle sale giochi. Si perdono fortune davanti ad un personal computer. Basta che salti la connessione, ed evaporano per sempre cifre rilevanti in euro.rnrnDietro l’ebbrezza del raddoppiornrnPiccola o grande. “La piccinon”. Nient’altro che la forza deduttiva del potere ludico. Se la scommessa o il raddoppio andava in porto, era la vita. Se si rivelava sbagliata la scelta, c’era la fine. Il bianco e il nero, yin e yang, il sole e la luna.rnrn“Nino mi carichi le ultime duemila lire?”.rnrn@waldganger2000
Fenomenologia di un giocatore di videopoker incallito negli anni novanta
Pubblicato da: Michele De Feudis | Mer, 22 Marzo 2023 - 11:57
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