Meglio tardi che mai. Se da anni, in America, le serie tv hanno conquistato sempre più pubblico, credibilità e mercato, la lezione è arrivata solo di recente in Italia, che si è scrollata di dosso un po’ di polvere, di medici in famiglia e sacerdoti detective in bicicletta. Il nuovo fenomeno, dopo il discusso lancio de I Medici, è The Young Pope di Paolo Sorrentino che torna a dirigere in lingua inglese dopo This Must be The Place del 2011 e Youth del 2015. La serie, per ambizione, qualità del cast e tematica – siamo nell’ambito dei retroscena e degli intrighi del potere e della politica – è stata accostata a House of Cards e, nel confronto, demolita come versione minore. Partendo dal presupposto che ogni opera d’arte è inevitabilmente influenzata da una sua precedente e influenzerà un’altra a lei successiva, Sorrentino mette in piedi, nella première della sua avventura seriale, un prodotto personale, figlio del suo tocco autoriale molto più che dei precedenti statunitensi. La puntata si apre con una sequenza iniziale dalla potenza indiscutibile, con un primo monologo programmatico che chiarisce, senza inciampare nel didascalico, le intenzioni del personaggio (e del regista). Tutto ciò che segue è un ricamo tecnico preciso, elegante, maestoso. Dalle panoramiche di Roma, che dall’alba de La grande bellezza, ama farsi ritrarre dal regista partenopeo, ai volti dei fedeli scovati nella folla di piazza San Pietro, ogni inquadratura è frutto di studio perfezionistico, colto e denso di riferimenti e simboli. La profonda analisi delle dinamiche vaticane e il tono feroce e dissacrante del racconto non possono prescindere dall’italianità del suo autore e dalla storica, stretta convivenza con la Chiesa Cattolica che ben conosciamo. L’Italia intellettuale, l’Italia che rompe con la tradizione, l’Italia atea cresciuta nelle parrocchie, è nei primi dieci minuti del papa di Sorrentino, nella sua ricerca di una risposta semplice a una società complicata da secoli di regole, punizioni e sensi di colpa.
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Il Papa giovane e la vecchia Chiesa
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Per ricoprire il ruolo di protagonista, Sorrentino ha scelto l’attore inglese Jude Law. Pio XIII, al secolo Lennie Belardo, è un uomo di 47 anni gelido e arrogante, che rifiuta l’idea e i limiti connessi col suo essere simbolo, per riempire di individuale autorità la figura del Papa e emanciparsi dal ruolo di burattino mediatico. Accanto a lui, l’anziano e ambiguo Cardinale Voiello – interpretato da uno straordinario Silvio Orlando – rappresentante di tutto ciò che Belardo vuole distruggere. Ai margini (almeno per il momento) di questi due titani, Suor Mary (Diane Keaton) e il Cardinale Spencer (James Cromwell). Queste quattro figure ricordano i quattro ruoli chiave della cattolicesimo, ma rivisitati in chiave mondana: se Spencer, Belardo e Voiello sono – talvolta in maniera dichiarata – accostabili al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, Suor Mary è la versione contemporanea della Madonna, vergine e madre, intimamente legata al successo del Figlio e sua spalla fondamentale nella rivoluzione culturale del messaggio cristiano.
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rnSpencer, il più quotato per sedere sul seggio pontificio è stato scalzato dalla tentacolare influenza di Voiello che ha messo al suo posto il giovane protetto dell’escluso cardinale americano – il Figlio – Belardo. Che si tratti di una beffarda rappresentazione del passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, tra vecchio e nuovo monoteismo? E a cosa si deve la scelta di proseguire l’onomastica papale col nome di Pio XIII, quando il XII era il discusso pontefice del concordato con il Terzo Reich?
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I presupposti per dare un’interpretazione completa alla serie sono ancora pochi, ma i primi sessanta minuti di The Young Pope sono talmente densi da dare adito a svariate riflessioni, risultato che, di per sé, può sancire il successo del suo autore.
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