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Giovanni XXIII, l’ospedale che doveva essere l’eccellenza del sud Italia

Pubblicato da: Rosanna Volpe | Mer, 22 Marzo 2023 - 11:44
Ospedale Pediatrico

Tra i nidi di vespe nelle camere dei piccoli degenti, l’igiene scarsa, la scortesia del personale, un pronto soccorso che tanto “pronto” non è. Il Giovanni XXIII – meglio noto come “ospedaletto dei bambini” – galleggia nel malcontento di tanti. Ci sono anche mamme e papà che nell’ospedale di via Amendola hanno trovato tutt’altro, è vero, ma l’efficienza e la gentilezza dovrebbero rappresentare la normalità. Ciò che non si spiega – invece – è il motivo per il quale il Giovanni XXIII – che sarebbe dovuto diventare il “Gaslini” della Puglia – è a oggi un fatiscente edificio ben lontano dall’immagine di un ospedale per i piccoli.rnrn”Ho portato mio figlio due volte all’ospedaletto – racconta la mamma di Francesco (nome di fantasia). La prima volta hanno risolto un caso di rota virus molto lentamente. Mio figlio era ricoverato in una stanza dove c’era anche un nido di vespe. Solo dopo due giorni ci hanno trasferito in un’altra stanza. Poi purtroppo siamo tornati perché mio figlio aveva frequenti convulsioni: siamo usciti dall’ospedale con mille dubbi in più. Inoltre l’igiene è scarsa e il personale in numero sempre inferiore alle richieste”.rnrn”Uno schifo – tuona la mamma di Elena – un incubo. Mia figlia è stata ricoverata due volte. La prima per gastroenterite: siamo usciti dall’ospedale che non aveva più la gastroenterite ma in compenso tosse e raffreddore durati mesi. La seconda volta infezione alle vie urinarie e nefrite. La piccola è stata ricoverata, le hanno messo la flebo. Non mangiava e non beveva più. Piangeva 24 ore al giorno. Si sono accorti dopo due giorni che la flebo era fuori vena. La feci staccare con le cattive maniere e minacciai di chiamare i carabinieri se solo avessero provato a fare qualsiasi tipo di terapia senza il mio consenso”.rnrn”Io non mi sono trovata molto bene – racconta la mamma di Aurora. Ho portato la mia bimba due volte: una volta per febbre alta. Medici e infermieri le urlavano contro perché non stava ferma e non si lasciava visitare. Alla fine la bloccarono in cinque e – invece – di calmarla la fecero agitare ancora di più. La seconda volta furono molto superficiali e mi dissero che aveva la sesta malattia mentre scoprimmo che si trattava di scarlattina grazie alla mia pediatra”.rnrn”Noi ci siamo trovati benissimo con i medici”, interviene la mamma di Elisabetta. “Solo un episodio mi ha lasciato senza parole: un infermiere non voleva darmi il latte per mia figlia che allora aveva poco meno di un anno. Mi disse che non sarebbe morta fame se per una sera non le avessi dato il latte. Dovetti chiamare mio marito e farmelo portare”.rnrnDalila, mamma di Carlotta racconta: “Due anni fa fui costretta a chiamare i carabinieri perché mia figlia aveva la febbre a 40 e senza visitarla le somministrarono prima il paracetamolo e poi l’ibuprofene. Solo allora la visitarono e poi la ricoverarono in chirurgia perché non c’era altro posto. Nel reparto però non si presero la responsabilità di farle terapia perché non era loro competenza. Mia figlia – dalla notte alle tre del pomeriggio – continuò ad avere la febbre alta. Chiesi allora prima una flebo di cortisone. Dopo la minaccia di rivolgermi alle forze dell’ordine, riuscimmo ad avere un posto nel giusto reparto. Dopo qualche giorno la bimba sembrava stare meglio ma il giorno prima di dimetterci dalle analisi risultò un calo importante dei globuli bianchi. La bambina venne sottoposta a esami su esami, ma ancora non riuscivano a darmi spiegazioni. Un bel giorno mi mandarono via perché avevo preso l’herpes e anche la febbre. Mia figlia si ritrovò di colpo senza mamma e senza latte. Decisero di spostarla agli infettivi. Per meglio dire fu mio marito a trasportarla da un plesso all’altro. Agli infettivi la straordinaria dottoressa che ci seguì, disse che era stata una follia trasferirla lì in quanto aveva le difese bassissime e che a me sarebbe bastata una mascherina per restare con la mia bambina”.rnrnGli orrori raccontati sul Giovanni XXIII sono tanti. Non si salva il pronto soccorso. Francesca racconta: “Eravamo gli unici e ci hanno fatto attendere circa 20 minuti prima di entrare. Mio figlio aveva una crisi allergica e i minuti in quel momento sono ore. La dottoressa che visitò mio figlio non ci diede spiegazioni su che cosa potesse avere il bambino e per sicurezza gli prescrisse il ricovero nel reparto infettivo. Un bravissimo dottore ci spiegò allora che molte volte per non prendersi rogne dal pronto soccorso mandano nel reparto infettivo. Conclusione: al bambino somministrammo del cortisone, firmai le dimissioni e tornammo a casa con la speranza di non doverci mai più mettere piede all’ospedaletto”.

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