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Café Society – Recensione

Pubblicato da: Francesca Romana Torre | Mer, 22 Marzo 2023 - 11:32
Cafe Society

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La firma di Woody Allen è garanzia di qualità, se non per capolavori, per commedie eleganti e brillanti, che filano dall’inizio alla fine senza sbavature. Quarant’anni dietro alla macchina da presa con una frequenza quasi annuale di produzioni, sembrano concedere a Allen la possibilità di girare film a occhi chiusi – come racconta in Hollywood Ending – senza l’ansia di stupire, ma col compiacimento senile, ma affascinante, del raccontare. In Cafè Society il regista miscela alcuni ingredienti ricorrenti della sua filmografia: la musica jazz, New York, la famiglia yiddish, i dialoghi serrati e incastonati di aforismi -“Bisogna vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Poi un bel giorno c’azzecchi”, rimarrà negli annali del cinema – lavorando su una sceneggiatura che non suona particolarmente nuova, ma che brilla di un’eleganza fuori del tempo come uno Chanel vintage adatto per ogni occasione.

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Il romanticismo è ancora una volta al centro di tutto, a cominciare dal protagonista Bobby (Jesse Eisenberg) con la sua escalation dal grigio Bronx alla dorata Hollywood, fino alla brillante café society newyorkese che lo consacra come uomo. Nevrotico, romantico e tenace nell’amore e nella conquista e dal carisma impacciato e cervellotico, Eisenberg riprende con grazia il personaggio del giovane Allen dei tempi d’oro senza incorrere in scimmiottamenti. Bobby sillaba nervosamente le sue battute, alternandole a silenzi sbigottiti e riesce a rendere il dramma sorvolando con leggerezza gli ostacoli eterni della noia, del tradimento e della morte. Croce e delizia del cuore di Bobbie, Vonnie – interpretata da Kristen Stewart – è una delle figure femminili tipiche dei film di Allen, intellettuale, fragile e presa da sé stessa. I personaggi agiscono in un contesto di assoluta leggerezza, in cui adulteri e gangster fluttuano sui virtuosismi di un sassofono e trovano in questa danza l’assoluzione per ogni grande e piccola crudeltà.

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Cafe Society

Cafe Society

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Allen regala al pubblico splendide cartoline, gestendo al meglio il suo esordio col digitale, forte del contributo del maestro Vittorio Storaro pluripremiato direttore della fotografia. La grande bellezza dell’America degli anni trenta è resa nei colori, negli abiti, nelle bellezze femminili, nella ricorrente musica dal vivo, nel cibo, nei drink e in una ricchezza che fiorisce nelle mani dei personaggi, liberi da ogni altra preoccupazione se non quella di scegliere chi amare. Convince poco la protagonista femminile, Kristen Stewart, talmente fuori contesto da far pensare a una scelta precisa da parte di Allen: che la sua fisicità spigolosa, la sua espressività adolescenziale e il suo disagio nelle vesti glamour vogliano mostrare la cecità dell’amore, quando è talmente profondo da superare il rifiuto, il tempo e l’abbandono?

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Attorno ai due innamorati, gravitano una serie di personaggi che, come in ogni buona commedia, danno un valore aggiunto al film: i genitori di Bobbie, i cui battibecchi ricordano altri ritratti brillanti della narrazione familiare di Allen, il fratello maggiore Ben, Corey Stoll, già convincente nel ruolo di Hemingway in Midnight in Paris, la sfavillante Blake Lively/Veronica, libera del tutto dai suoi esordi televisivi e diva del grande schermo e lo zio/rivale Phil, interpretato da Steve Carell, bravo nel rendere un personaggio bieco e egoista con comicità ben dosata, mai fuori dalle righe.

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Come i classici Disney nel periodo natalizio, ogni film di Woody Allen rappresenta una certezza cinematografica alla quale sarà difficile rinunciare. Tra gli alti e bassi della sua nutrita filmografia, Cafè Society si colloca in un livello medio, senza deludere né toccare picchi di particolare genialità.

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