È un esordio impreziosito da collaborazioni di rilievo, quello del giovane Ainé. Generation One può infatti vantare la presenza di nomi del calibro di Sergio Cammariere, Ghemon, Gemello, Davide Shorty, o della giovane bassista statunitense Alissia Benveniste e di Kyle Miles.
Sarebbe tuttavia riduttivo fermarsi a questo: Generation One è un disco nel quale convivono le due anime di Ainé, la cui formazione è avvenuta tra Italia e Stati Uniti. Sonorità americane si mescolano quindi a una sensibilità nostrana, in un mix ben amalgamato nel quale è possibile cogliere hip hop, soul e RnB. Il lavoro sta pure registrando parecchi passaggi sulle radio italiane.
Negli ultimi anni nel nostro Paese sono emersi diversi musicisti che hanno composto i loro brani in due lingue. Quali differenze ha trovato Ainé tra il comporre e cantare in Italiano e in Inglese?
Da quando scrivo e canto la mia musica non trovo troppa differenza o meglio, questa c’è, ma sono due mondi diversi: è come se avessi due facce, due mondi diversi, il giorno e la notte. A volte mi sento come Spider Man [Sorride].
Di Ainé si coglie subito la dimensione internazionale. Dove si può trovare in particolare quella italiana, invece?
Metà dei brani sono in italiano, metà del team di lavoro è composto da italiani. C’è molto di dimensione Italiana.
Quali sono le influenze maggiori per Generation One?
Tra gli autori che quest’anno più mi hanno influenzato ci sono Kendrick Lamar, Anderson Paak, Nick Hackim, Bilal, The internet, Gizmo, Lihanne la Havas, e Thundercat, Big Yuki.
Quale sarebbe la Generation One?
Generation One sono le radici, il futuro, la freschezza, la novità, il nuovo, il diverso, noi [Ride].
Quali sensazioni, quali messaggi vorrebbe che si percepissero da questo album?
Il cambiamento, la voglia di arrivare, la passione, l’amore per la musica e per l’arte, la voglia di creare un movimento diverso e contemporaneo, di dare voce a chi non ce l’ha.