Linguadoca, Sain-Jean-de-Minervois, macchia mediterranea, un altopiano bianco di origine calcarea, sette ettari di vigneto a 320 metri sul livello del mare: Anne Marie Lavaysse, il figlio Pierre e Rosalie, la mucca, custodiscono il Petit Domaine de Gimios. Non solo una vigna, ma contemporaneamente orto e frutteto. Un posto coltivato eppure selvaggio, in cui ogni elemento concorre alla salute e all’armonia della terra. Vendemmia manuale nelle prime ore del mattino, una produzione poco superiore ai dieci ettolitri per ettaro. Una missione che è prima di tutto ascolto. Vengono coltivate uve Moscato “petit grain” e altri sedici vitigni autoctoni per i vini rossi. Nella sua tenuta c’è vita, amore e un’atmosfera magica.
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rnAnne Marie è un’Amelie degli anni sessanta: una donna “delle piccole cose”, vibrante, bella.
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Il suo moscato è da pelle d’oca, tanto è equilibrato, armonioso e buono. I rossi sono meravigliosamente imprevedibili e sopra le righe.
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La storia si apre con un vigneto in rovina di proprietà, l’amore e il rispetto per la natura, una forte avversione per la chimica. Lavora il piccolo, conosce ogni singolo ceppo. “Possedevo delle viti centenarie e degli animali di cui occuparmi; ho osservato, riflettuto e lavorato. Per prevenire le malattie delle piante, mi sono ispirata alla foresta e al suo naturale equilibrio: il mio ruolo di contadina è mantenere e proteggere la vita. Inizialmente mi ero avvicinata alla biodinamica solo all’atto pratico, non tanto agli aspetti esoterico-filosofici. Mi sono concentrata sui miei preparati, ho lasciato un inerbimento naturale. Utilizzavo zolfo e rame per gestire i problemi di funghi e muffe e un compost classico, ma mi sono ritrovata con l’oidio. Il pieno rispetto che porto alla terra mi ha condotto alla decisione di non usare più zolfo e rame; per la ninfa sono veleno. Ho compreso che non ottenevo risultati perché mi affidavo a una versione ortodossa della biodinamica e ai suoi preparati classici, come l’equiseto e l’ortica, che non appartengono però alla mia regione. Ho proseguito per analogia, scegliendo le mie piante più forti, compatte e resistenti alle avversità parassitarie e ne ho fatto tisane per la vite. Ho selezionato sette (numero sacro) piante, da raccogliere fresche e con cui fare un infuso solare per un giorno e una notte; vengono dinamizzate secondo i ritmi cosmici del metodo biodinamico. L’effetto è stato immediato: già quell’anno il raccolto è stato fantastico; negli anni successivi è successo di nuovo. Il metodo funziona: il succo è dolce, le foglie commestibili. Le vigne sono più forti e anche nel caso di piccoli problemi sanitari ce la fanno da sole, le loro difese diventano endogene. La mia tecnica è sempre la stessa, ho provato poco a poco: non ho enologi, annuso, assaggio, lascio alla vite il suo ritmo, non la disturbo. Credo sia questo ciò che dà equilibrio alla mia uva e diversità ai miei vini, portatori di un messaggio di purezza e di simbiosi terra – contadino”.
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Viso, mani e parole trasmettono forza, concretezza e emozioni. Un percorso personale, privo di assiomi produttivi: ogni atto è contestualizzato, collocato e voluto in base a quello specifico territorio.
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L’inizio della vendemmia viene scelto consultando il calendario biodinamico e osservando le piante. E’ necessario gustarne le resine, sorvegliare la luna per la maturazione degli zuccheri. “A volte ci sono delle sorprese: la natura agisce più velocemente di me e in 48 ore, all’improvviso, arriva il giusto momento; chiamo tutti gli amici, sempre felici di aiutarmi. E’ un periodo gioioso e di festa; questo è molto importante perché il vino sia buono. Essere contadina è una scelta, che ogni giorno rinnovo. Amo questa relazione dolce e rude che ho con la natura; è il più bel mestiere del mondo: dare e ricevere.”