Pubblichiamo un intervento del professore dell’Università di Bari, Ignazio Lagrotta, presidente dell’associazione “Il Confronto”, che ha tra i promotori anche il deputato conservatore Antonio Distaso
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Il tema promosso dall’Associazione culturale “Il Confronto” ha posto, con un titolo provocatorio, l’accento sul problema della «meritocrazia» o meglio della «valorizzazione del merito» nel nostro Paese.
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E’ un tema «scottante» che, pubblicamente brandito e difeso da tutti a spada tratta, trova difficoltà ad affermarsi concretamente in un Paese nel quale c’è un’epidermica orticaria all’esame di coscienza critico, una partigianeria esagerata ed un’incapacità diffusa ad accettare le regole; senza contare il comodo e costante ricorso alla «raccomandazione» ancora endemica come il morbillo.
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L’educazione al riconoscimento del merito esige una predisposizione dell’animo che presuppone la capacità in primo luogo di saper essere critici con sé stessi. E’ difficile riconoscere i meriti delle persone più talentuose se prevale l’invidia invece dell’ammirazione per i più capaci e meritevoli. Purtroppo una visione miope non consente l’affermarsi di una sana cultura del merito e della competizione che significa promozione di un sistema che può portare benefici all’intera collettività. Non è difficile immaginare che qualora le classi dirigenti, a tutti i livelli, fossero rappresentate dai più bravi e meritevoli l’intero sistema Paese ne beneficerebbe.
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La storia recente, invece, testimonia la «fuga all’estero dei cervelli» per l’incapacità del nostro sistema di sapersi riformare attraverso processi di selezione delle classi dirigenti, dei docenti e dei nostri rappresentati con procedure trasparenti e con regole chiare. Non pochi sono gli indici che evidenziano come la crisi economica e la mancanza di crescita del Paese siano la conseguenza di una crisi dei valori di meritocrazia e di rispetto delle regole, che tagliano le ali ai nostri talenti.
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In un recente studio, pubblicato dal Sole 24 Ore, si è cercato di misurare questo asset immateriale ma fondamentale per lo sviluppo economico e sociale di un Paese. Sono stati presi come riferimento sette pilastri, considerati prioritari a livello mondiale: libertà, pari opportunità, qualità del sistema educativo, attrattività per i talenti, regole, trasparenza e mobilità sociale. I primi risultati ci dicono che tra 12 Paesi europei, i migliori sono quelli scandinavi, seguiti da Germania, Gran Bretagna e Francia. L’Italia è in ultima posizione.
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Bisogna ripartire proprio dalla Scuola per avviare una rivoluzione culturale, che metta il merito al centro di una rinnovata educazione civica recuperando ancora una volta l’insegnamento di Aldo Moro che aspirava ad un modello di Università e di Scuola «umanizzato» una piccola società che sia capace di essere un ponte verso la vita.